L’Evocazione – The Conjuring

Interessante ed originale variazione sul tema casa infestata con aggiunta di possessione ed esorcismo finale, tratta da una storia vera: un horror pieno di riferimenti e di omaggi ai classici del passato e del presente, messo in scena con grande eleganza e mestiere.

Ecco che ci risiamo. Casa di campagna in vendita: completamente isolata e lontana dai rumori, interni luminosi, spaziose camere da letto con vista sull’immancabile laghetto con pontile e albero scheletrico a fare da cornice. All’interno, tutti gli arredi e corredi standard per un soggiorno all’insegna del terrore più classico: patio con sedia a dondolo e scacciaspiriti mosso dal vento, solidi armadi dalle ante cigolanti, scale in legno che scricchiolano solo a guardarle e, incluso nel prezzo, scantinato sotterraneo segreto fuori planimetria pieno di cianfrusaglie, ricettacolo ideale per l’intensa attività paranormale della casa. Evidentemente tutto già visto e raccontato, ma questo non impedisce a L’Evocazione – The Conjuring di essere stato la sorpresa dell’estate americana con più di 120 milioni di dollari incassati ad oggi, ma soprattutto con un’ottima accoglienza da parte della critica. Sì, perché in un epoca in cui troppo spesso l’horror si è involuto in stravaganze di effettacci splatter, puntando più sul sadismo e sul gore esplicito che sulla creazione della vera suspence, questo film che predilige un approccio nostalgico all’evocazione della paura secondo meccanismi squisitamente vintage (crea la tensione, poi la pausa, e quando ti stai rilassando ecco che arriva lo spavento), grazie ad un’ottima e ispirata regia, risulta affascinante e originale e soprattutto provoca dei sani brividi estivi. In sostanza mette paura come si deve.

Gli eventi, ispirati a un vicenda realmente accaduta, coinvolgono l’intera famiglia Perron, padre, madre (Ron Livingston e Lili Taylor) e le loro cinque figlie, e la terrificante avventura che li attende quando, nei primi anni ’70, si trasferiscono nella nuova magione nel Rhode Island. La casa nasconde un oscuro passato le cui conseguenze continuano a manifestarsi ancora nel presente: segnali inquietanti e sinistre presenze cominciano a rivelarsi poco a poco ai sempre più sgomenti membri della famiglia, che sono costretti a rivolgersi a Ed e Lorraine Warren (Patrick Wilson e Vera Farmiga), una coppia di investigatori del paranormale di fama mondiale, che nel tentativo di aiutare la sventurata famiglia Perron si troveranno coinvolti nel caso più terrificante della loro carriera.
Il film racconta appunto una storia vera, basata sui files della famiglia Warren, una coppia di demonologi o cacciatori di fantasmi, come venivano definiti, celebri in quegli anni al punto da tenere lezioni nelle Università, che ha seguito molti casi veri o presunti di infestazioni e possessioni demoniache, il più celebre quello di Amityville, New York, che ha dato vita ad una vera e propria franchise cinematografica: lui all’epoca era l’unico demonologo laico ad essere riconosciuto dalla chiesa, lei una dotatissima veggente. Una coppia di protagonisti dall’aspetto assolutamente normale, lontana da qualsiasi stereotipo visto fino ad ora nel cinema di genere, che tiene gli oggetti demoniaci e i reperti delle loro indagini dentro casa dove vive anche la figlia con la nonna, perché “cose così pericolose è meglio poterle controllare da vicino“.

Il fatto di parlare di una storia vera e documentata serve a destare ancora di più l’attenzione e a rendere il tutto più inquietante, che si creda o no alle possessioni e alle presenze demoniache, vedi la didattica spiegazione dei tre stadi di infestazione, oppressione e possessione: ma James Wan (Saw – L’enigmista, Insidious) non fa l’errore di cavalcare la moda del found footage o del finto documentario, ma di quei generi così in voga, astutamente, si appropria semplicemente del concetto base, ovvero la creazione della suspense attraverso appunto l’evocazione, dove quello che non vedi ma sai che c’è fa ancora più paura di quello che viene svelato. Gli ambienti vuoti, le ombre, i rumori sinistri che spingono lo spettatore a stare al gioco e a cercare la presenza celata nelle pieghe di un lenzuolo, nell’ombra dietro una porta o nel riflesso delle specchio di un carillon. È la regia che fa la differenza: Wan è sorprendentemente abile ed elegante nei meccanismi più classici che generano la paura sia nell’attesa che nel momento in cui la presenza viene svelata: il gioco della mosca cieca col battimani in questo senso è puro thrilling.

I richiami ai fatti reali, come detto, ritornano solo nei titoli di coda (molto belli), dove ai nomi degli interpreti si associano i ritagli di giornale e le foto d’epoca dei veri protagonisti della storia: per il resto come detto il film prende volutamente le distanze dallo stile documentaristico, ma anzi riversa tutte le suggestioni dei vari generi horror, dai più classici ai più moderni e innovativi, in una messa in scena in un contesto squisitamente nostalgico e volutamente quasi teatrale da restituire il senso di una cinematografia in un certo senso d’altri tempi, operazione in cui è aiutato dall’ambientazione d’epoca fedelmente ricostruita, musiche comprese. Un horror che mescola vari generi quindi, omaggiando film classici e moderni, da Amityville Horror a L’esorcista, da Paranormal Activity al serial American Horror Story, il cui pilota era la cosa più genuinamente terrificante vista in giro negli ultimi tempi… fino ad ora. Omaggi e citazioni, tutto (volutamente) già visto ma rimesso in scena con grande stile, il film funziona alla grande soprattutto nella prima parte come interessante variazione sul tema casa infestata, con virata finale su possessione ed esorcismo, pure riuscita anche se meno originale.

Alessandro Antinori per Movieplayer.it