Wolf Creek 2

A otto anni dal primo "Wolf Creek", Greg McLean confeziona un sequel che riprende le caratteristiche di base del prototipo, conferendo al suo folle serial killer una caratterizzazione politica ancora più spinta.

L’onda lunga dei vari sequel/remake/variazioni sul tema del classico Non aprite quella porta, iniziata circa un decennio orsono col remake di Marcus Nispel, continua ad estendere la sua influenza sul cinema horror attuale. Il recente (e sciatto) Non aprite quella porta 3D, poco convinto tentativo di “ritorno alle origini” con annesso restyling stereoscopico, ne è un emblematico esempio; ma nel filone rientra, seppur in senso lato, anche questo Wolf Creek 2, sequel di uno dei più interessanti, e meno scontati, epigoni del classico di Tobe Hooper. Il primo Wolf Creek, a dire il vero, diretto nel 2005 dall’australiano Greg McLean, mescolava l’estetica hooperiana con quella degli spazi aperti, dell’horror diurno e quasi agorafobico, che fece la fortuna di un altro classico dell’horror anni ’70, l’indimenticato Le colline hanno gli occhi di Wes Craven. Proprio questo sguardo più obliquo, insieme a questo suo essere profondamente ancorato alla realtà (geografica e culturale) del territorio australiano, fece del film di McLean un horror/slasher più interessante della media; fermo restando che il regista non mostrava l’acutezza di sguardo, né la capacità di rielaborazione dei topoi, che già erano propri, ad esempio, di un Rob Zombie.

Ora, otto anni dopo, lo stesso McLean riprende le fila della sua storia (e del suo personaggio, il folle killer Mick Taylor) per consegnare ai fan dell’horror un nuovo bagno di sangue, ambientato tra le distese di terra e i territori incontaminati dell’Australia del sud. Questo Wolf Creek 2 ha un canovaccio, se possibile, ancora più essenziale dell’originale: vicino al Parco Nazionale che dà il titolo alla serie, una coppia di campeggiatori viene braccata e in seguito uccisa dal folle Taylor, che, in particolare, gioca sadicamente al gatto e al topo con la ragazza. Durante un tentativo di fuga, quest’ultima viene soccorsa dal giovane Paul, turista inglese di passaggio con la sua auto; dopo un inseguimento e l’uccisione della giovane, Paul cade a sua volta prigioniero del killer, intenzionato a divertirsi con lui prima di eliminarlo. Ma il giovane si rivelerà, per lo psicopatico, un osso più duro del previsto.

Gli elementi più interessanti del film originale, tra i quali la caratterizzazione del killer come essere umano (senza alcun elemento sovrannaturale, o semplicemente insolito) e l’affascinante setting, vengono riproposti da questo sequel, che da questo punto di vista sceglie di giocare sul sicuro. Tali elementi perdono inevitabilmente, comunque, un po’ del loro appeal originale, normalizzati in un tessuto narrativo che, a otto anni di distanza, sa di già visto. Lo script cerca di supplire a questa sensazione di deja vu introducendo nella trama altri motivi, tra i quali la più spinta caratterizzazione “nazionalistica” del killer. Taylor, effettivamente, appare qui, ancor più che nel primo film, un laido razzista, insofferente verso gli stranieri, deciso a difendere le frontiere del suo paese (di cui afferma esplicitamente la superiorità) con ogni mezzo necessario. Quasi un ranger sui generis, che spende rapidamente il credito di simpatia guadagnato nella sequenza iniziale (in cui reagisce, a modo suo, ai soprusi di due poliziotti). Una delle sequenze più riuscite del film, a questo proposito, è il teso, lungo confronto finale col giovane Paul: una sequenza di cui non riveliamo i dettagli, se non la sua forte caratterizzazione politica.

Per il resto, Wolf Creek 2 lascia la sensazione (ma, lo ripetiamo, potrebbe essere semplicemente l’esaurimento della spinta propulsiva costituita dal primo film, nonché l’inflazione di pellicole simili prodotte negli ultimi anni) di un’operazione più ludica rispetto al suo predecessore, un buon prodotto strettamente riservato a un pubblico di appassionati. Il protagonista John Jarratt conferma di trovarsi perfettamente a suo agio nel ruolo di un mostro quantomai realistico nella sua crudeltà, iperbole delle più sgradevoli caratteristiche riscontrabili nella natura umana; la cura della scenografia carica di nuovo di inquietudine location che normalmente verrebbero considerate da cartolina. McLean confeziona, da par suo, singole sequenze molto riuscite, tra cui un folle inseguimento virato allo splatter, con contorno di canguri suicidi, e il già ricordato confronto degli ultimi minuti. E’ sufficiente, sicuramente, per soddisfare i fan dello slasher più assetati di emoglobina, nonché per appagare la curiosità di chi si era chiesto, negli ultimi anni, che fine avesse fatto il personaggio di Mick Taylor. In attesa di una nuova crisi di astinenza, di nuove domande e di un (possibile) nuovo episodio.

Marco Minniti per Movieplayer.it Leggi