Il potere dei soldi

Il regista Robert Luketic, traendo spunto da un romanzo di Joseph Finder, dirige con Il potere dei soldi un thriller finanziario, che affonda il suo sguardo nel lato nascosto, e predatorio, del capitalismo americano.

Adam Cassidy, giovane impiegato di una grande società di telecomunicazioni, è un tecnico brillante e molto ambizioso. Nonostante le sue umili origini, Adam è infatti deciso a risalire i gradini della scala sociale, anche a costo di sgomitare; ma di fatto, per ora, la sua posizione in seno all’azienda non gli permette nemmeno di pagare le cure per l’anziano padre, malato di enfisema. Quando il giovane presenta un innovativo progetto al tycoon della multinazionale, il milionario Nicolas Wyatt, questi dapprima decide di punire la sua arroganza, licenziandolo; ma poi, intuendo le enormi potenzialità del giovane, lo coinvolge in un rischioso piano di spionaggio industriale, ai danni dell’ex socio e nemico giurato, Jock Goddard. Adam, assunto dall’azienda di Goddard, dovrà prima conquistarsi la fiducia del capo, e in seguito carpirne i progetti tecnologici e i piani aziendali; ma ben presto il giovane si rende conto di essersi infilato in un gioco più grande di lui, che finirà per mettere in pericolo anche le persone a lui vicine; tra queste, la bella Emma Jennings, dipendente della ditta di Goddard con cui Adam ha iniziato una relazione.

Dopo aver frequentato, soprattutto, i territori della commedia romantica, il regista Robert Luketic fa una decisa virata verso il thriller finanziario con questo Il potere dei soldi; l’ispirazione è un romanzo di Joseph Finder, Paranoia (stesso titolo originale del film) che esplorava i meccanismi segreti dell’accumulazione della ricchezza, e l’evoluzione del capitalismo americano verso un modello predatorio e (nei suoi risvolti nascosti) illegale. Il film di Luketic, in effetti, inizia mettendo a confronto, anche visivamente, i centri del potere economico della città di New York, la mecca di Wall Street e i grattacieli sedi delle multinazionali, con l’umile sobborgo di Brooklyn in cui vive il protagonista; la sceneggiatura punta inizialmente le sue carte sui tentativi, sempre frustrati, di Adam e dei suoi amici, di mettere a frutto la propria competenza, nell’ambito di una realtà aziendale immobile e caratterizzata da posizioni di rendita. L’attenzione verso il motivo, invero solo accennato, dell’assenza di mobilità sociale, fuori e dentro il luogo di lavoro del protagonista, viene presto sostituito da quello del confronto tra i due giganti dell’industria americana, a cui danno il volto Gary Oldman ed Harrison Ford; il tema centrale della narrazione diventa presto quello classico della “talpa”, incarnata dal protagonista, seppure in un contesto diverso da quello consueto del noir.

Lo script segue dapprima il protagonista, che ha il volto (qui, a dire il vero, un po’ legnoso) di Liam Hemsworth, mentre penetra fino al centro del potere aziendale della multinazionale, fino a entrare in contatto con un capo a cui Ford, col minimo sforzo, conferisce la giusta dose di ambiguità e di pericoloso carisma. In seguito, parallelamente alla scoperta, da parte di Adam, del carico di rischio della posizione da lui assunta, viene messa in evidenza la paranoia del titolo, con la costante sensazione di essere spiato e l’ossessione della presenza di “occhi elettronici”, veri o immaginari, pronti a carpire e registrare ogni azione del protagonista. Proprio in questo aspetto, considerato anche che doveva trattarsi di uno dei motivi centrali del film, la sceneggiatura mostra i suoi più evidenti limiti; l’inquietudine di un occhio sempre sveglio e osservante, e soprattutto la sua saldatura con il tema delle nuove tecnologie (e dei problemi di privacy che esse portano con sé) non vengono sfruttate a sufficienza. Il tema esplicitato dal titolo viene risolto, nella parte centrale, in poche sequenze che vedono coinvolti il protagonista, i suoi amici e suo padre (un sempre efficace Richard Dreyfuss); in seguito, lo script si concentra sui tentativi del giovane di uscire dalla trappola in cui si è infilato, mettendo da parte ogni ambiguità e accelerando (fin troppo) verso una conclusione abbastanza schematica.

La regia di Luketic mostra una discreta gestione della tensione, pur eccedendo, a più riprese, con un’estetica da videoclip quasi sempre gratuita; la love story tra il protagonista e il personaggio interpretato da Amber Heard risulta piuttosto debole, portata avanti su binari risaputi e priva di un vero peso all’interno della narrazione. Restano comunque, in un progetto che necessitava, per risultare all’altezza delle sue potenzialità, di una mano diversa e più attenta al contesto, le espressioni da simpatica canaglia (pur invecchiata) di un Ford che fa sempre piacere ritrovare sullo schermo; un breve ma divertente confronto, risolto in pochi minuti, con un Oldman che qui non sembra saper tenere il passo (nella trama come sul set) dell’ex-Indiana Jones; e, soprattutto, la prova di un Dreyfuss sempre carismatico, la cui presenza si fa sentire malgrado il ruolo marginale a cui lo script lo relega. I suoi dialoghi col personaggio di Hemsworth, nonché il confronto tra i due diversi mondi che, nella storia, padre e figlio rappresentano, sono probabilmente tra i momenti più riusciti, e più sinceri, dell’intera pellicola.

Marco Minniti per Movieplayer.it Leggi