Universitari – Molto più che amici

Il film pretende di essere realistico, di saper raccontare il mondo dei ventenni, senza avere però un briciolo di autenticità e l'ipotetica 'verità' si scolorisce nel ritratto monodimensionale di una gioventù che cerca disperatamente una famiglia.

L’unica punizione per un uomo è mettergli vicino una donna“. Parola di Amata Cortellacci, zitella acida e omicida, ricchissima proprietaria di Villa Gioconda, clinica ereditata dal padre e trasformata in pericolante guest house per universitari; in uno slancio di efferato sadismo, per punire tutti gli uomini traditori, la donna decide di affiancare ai tre affittuari della casa delle nuove coinquiline. Carlo, aspirante regista, Alessandro, rampollo di una dinastia siciliana di cardiochirurghi, interessato più al cabaret e all’erba che al camice bianco e Fariz, simil-tronista iraniano dal radioso futuro di ingegnere, devono sopportare a malincuore l’arrivo della dolce Francesca, studentessa di Farmacia, della fantasiosa Giorgia, una stilista in rampa di lancio e della formosa Emma, ubertosa Barbie casertana. Si inizia litigando, si prosegue flirtando, e con un po’ di fortuna si scopre il vero amore, il senso profondo dell’amicizia e della condivisione. Per la laurea, ci sarà tempo.

Aspettarsi dall’ultimo lavoro di Federico Moccia, Universitari – Molto più che amici, un’appassionata e acuta disamina di quella fase della vita in cui si verificano le proprie qualità, in cui si rischia in prima persona pur di sbocciare e ritrovarsi d’un colpo cresciuti, sarebbe eccessivo; quello del regista e narratore romano è un approccio semplicistico e, tanto per essere chiari, immutabile alle istanze delle giovani generazioni. Forte di un consenso popolare che ha subito solo lievi flessioni negli ultimi anni, l’autore non alcuna voglia di cambiare la propria visione del mondo, di smettere di rappresentare i suoi tardo adolescenti come delle figurine sperdute in balia degli eventi. Non gliene facciamo certo una colpa, anche se ci sarebbe molto da dire su questo pericoloso e superficiale atteggiamento, ma visto che in questo ambito di film si discute, tanto vale partire proprio dal testo in oggetto, una commedia romantica che drammatizza ogni conflitto in maniera fin troppo elementare, proponendoci delle situazioni ingannevoli e ai limiti del paradossale. Le ansie dei sei protagonisti sono le stesse delle migliaia di fuori sede che vivono in città universitarie; la paura per l’esito di un esame, o il timore di non riuscire a pagare la propria quota di affitto, eppure Moccia trasforma questo materiale nel canovaccio dell’ennesima rom com in cui si salta subito alle conclusioni.

Il film pretende di essere realistico, di saper raccontare il mondo dei ventenni (che alcuni interpreti arrivino ai trenta è un dettaglio secondario), senza avere però un briciolo di autenticità e l’ipotetica ‘verità’ si scolorisce nel ritratto monodimensionale di una gioventù che cerca disperatamente una famiglia, tanto da riprodurne le dinamiche in ogni rapporto. C’è sempre insomma chi ti mette la coperta quando dormi sul divano e chi ti tiene la testa quando vomiti e ti accetta per quello che sei. Inutile chiedersi chi siano davvero questi universitari, perché le risposte sarebbero in contraddizione l’una con l’altra. Sono dei gran bravi ragazzi, anche se dilapidano i soldi di papà comprando erba e taroccano gli esami; sono brave ragazze anche se sognano di entrare al Grande Fratello; amano l’amore in tutte le sue forme, con particolare preferenza per le relazioni complicate, ovvero con uomini e donne sposati; sono sensibili, a tal punto da svenire davanti ad una grande emozione. Studiano con passione, ma spesso l’obiettivo del loro studio fluttua pericolosamente tanto da diventare irraggiungibile. Litigano con i genitori, ma non saprebbero farne a meno, così sono alla ricerca costante di quella carezza mai ricevuta o al contrario di quel ceffone mai preso. Confusi sul da farsi, sognatori quanto basta, si attraggono e si respingono con la forza di un magnete, fino all’obbligatorio lieto fine.

La confezione accattivante, le sequenze costantemente accompagnate dalle canzoni, non fanno che aumentare (per contrasto) la pesantezza di un film nella sostanza falso, destinato a bruciare ogni barlume di schiettezza in un tripudio di frasi fatte e psicodrammi romantici; e se l’emozione genuina fa capolino qua e là, viene cementificata sotto una spessa coltre di banalità. Moccia possiede la qualità di saper catturare l’attenzione di lettori e spettatori, non gli manca certo la capacità di entrare subito in contatto con la sua ‘platea’, anche puntando solo su aspetti estetici, il bel sorriso dei protagonisti, uno sguardo luminoso, un broncio malizioso; il punto è che dal primo contatto in poi, ogni riflessione resta lettera morta. E spiace constatare che l’immagine presentata da Moccia si quella di una generazione incapace di lottare davvero per le cose che hanno un reale valore, bisognosa di punti di riferimento, di una guida sicura che ne certifichi l’identità. Anche questa è politica. Discutibile.

Francesca Fiorentino per Movieplayer.it Leggi