Ad Aleksej Jurevič German il Premio alla carriera del Festival del Film di Roma

Verrà proiettato in prima mondiale il suo "É difficile essere un dio", epica opera di fantascienza filosofica tratta dall'omonimo romanzo

Il Festival Internazionale del Film di Roma, su proposta del Direttore Artistico Marco Müller, consegnerà il Premio alla carriera 2013 ai familiari del grande cineasta russo Aleksej Jurevič German, morto lo scorso febbraio. L’attribuzione del premio era stata comunicata al maestro pietroburghese a inizio inverno, così da accompagnare l’uscita del suo nuovo ambizioso lungometraggio, É difficile essere un dio. Per la prima volta nella storia dei festival europei, un premio alla carriera verrà dunque consegnato postumo. A ritirare il premio saranno Svetlana Karmalita, vedova del regista, complice di tutti i suoi progetti più personali e sceneggiatrice dei due ultimi film del maestro, insieme al figlio Aleksej A. German, capofila del rinnovamento del cinema russo contemporaneo (Leone d’argento a Venezia 2008 per Soldati di carta).

A seguire la cerimonia di premiazione, verrà proiettato in prima mondiale É difficile essere un dio, epica opera di fantascienza filosofica tratta dal romanzo di culto dei fratelli Boris e Arkadi Strugatski (autori, tra gli altri, di Picnic sul ciglio della strada, che Andrej Tarkovskij ha portato al cinema con il titolo Stalker).

“Quello di Aleksej German non è stato ‘un caso’. E ancora meno ‘un caso di censura’. – dice Müller commentando la sua scelta – Il meno prolisso dei grandi autori cinematografici russi ha rivendicato ogni sua personalissima opera, portata avanti contro tutto e contro tutti, in un itinerario artistico e filosofico assolutamente sconvolgente, che ha affermato una fortissima  personalità d’autore già con il suo “vero” primo lungometraggio, l’eretico Controllo stradale (1971-1985). Figura scomoda per ogni regime, German ha iniziato presto le sue schermaglie con i censori e il sistema burocratico del cinema sovietico, continuate per tutto il periodo brezhneviano. Non solo perché i suoi film trasgredivano le regole e ignoravano volutamente le abitudini del realismo socialista post-disgelo, ma soprattutto perché il suo cinema, costruito sulla scrittura registica, se si fosse affermato, avrebbe ribaltato strutture e tematiche teoriche, etiche, stilistiche. Andava dunque fermata la sua spinta dirompente. German – continua Müller – ha dunque potuto realizzare solo cinque film e mezzo (il ‘mezzo’ è una co-regia di debutto) in quarantasei anni di carriera registica. La sua attenzione alla differenza rispetto alla pretese del presente, la sua predilezione per il dissenso rispetto al consenso, finiscono per disturbare anche il sistema commerciale della Russia non-socialista, che inventa allora nuovi freni per gli ostinati slanci creativi del cineasta. Ma questo non gli impedisce di affrontare progetti ambiziosi, arrivando a realizzare film-limite come Chrustalëv, la macchina! (in concorso a Cannes nel 1998) e É difficile essere un dio che conclude la ricerca del regista sul tempo e la memoria, collegando l’assurdità del passato e del presente con quella del medioevo prossimo venturo”.

Geniale trasposizione cinematografica del romanzo cult degli anni Sessanta di Boris e Arkadij Strugazkij, È difficile essere un dio racconta di alcuni scienziati inviati sul pianeta Arkanar per aiutare la popolazione locale che sta vivendo una fase storica equivalente al nostro medioevo, in cui sono stati messi al bando non solo gli intellettuali, ma anche chi sa semplicemente leggere e scrivere. Ai protagonisti, che operano in incognito, è stato vietato di influenzare le vicende politiche e storiche del pianeta restando neutrali. Tuttavia, il protagonista, Don Rumata, cerca di salvare dalla gogna gli intellettuali locali e non può evitare di schierarsi: “Cosa faresti al posto di Dio?”.