Il capitale umano

C'è tanto cinema ne 'Il capitale umano', ma c'è soprattutto la capacità straordinaria del suo regista di spingersi oltre e di mettersi alla prova con nuove sfide senza mai perdere l'entusiasmo, la semplicità e quello sguardo ironico, disincantato e feroce che lo ha sempre contraddistinto.

Dino Ossola è un uomo cinico, anaffettivo e invidioso. Ha un matrimonio fallito alle spalle, una nuova giovane compagna che piuttosto inspiegabilmente lo ama, un’agenzia immobiliare i cui affari non sono mai decollati e una figlia con cui non è mai riuscito a costruire un rapporto. Quando la ragazza si fidanza con il rampollo di una ricca famiglia dell’alta finanza, Dino cerca di sfruttare l’occasione a suo vantaggio per inserirsi ‘nel giro’ e uscire dalla mediocrità ottenendo finalmente il tanto ambito riscatto economico. L’amicizia con l’antipatico e altezzoso magnate della finanza Giovanni Bernaschi si rivelerà però tutt’altro che sincera e Dino si pentirà presto di aver puntato tutta la posta sul ‘cavallo sbagliato’ senza pensare al futuro della sua famiglia e senza badare ai rischi di un investimento speculativo senza garanzie. Anche Bernaschi, nonostante le apparenze, ha infatti i suoi problemi: una moglie infelice e delusa, un figlio depresso dedito all’alcol e un’imminente bancarotta che bussa insistentemente alla porta. Ma non sarà il disastro finanziario a unire i destini delle due disastrate famiglie bensì un tremendo incidente notturno in cui viene ucciso un uomo che tornava a casa in bicicletta. L’amara verità che tutti dovranno accettare è che non si può investire sul capitale umano come si investe sul capitale finanziario.

Difficile a credersi, ma quella che avete appena letto è la trama de Il capitale umano, l’ultimo film di Paolo Virzì, un avvincente thriller drammatico dalle atmosfere cupe e malinconiche in arrivo nelle sale da giovedì 9 gennaio. Un cambio radicale di genere e di toni per il regista livornese che in vent’anni di carriera ci ha raccontato con ironia velata di romanticismo e drammaticità le relazioni umane in tutta la loro complessità e in dieci film ha riflettuto sulla quotidianità, sul lavoro, sulla famiglia, sull’amicizia e sull’amore con goliardia e senza mai sfociare nella volgarità, restituendoci un affascinante e divertente ritratto della provincia e dell’Italia intera. Per l’occasione Virzì ha riunito un cast pieno zeppo di grandi attori e i suoi collaboratori di sempre per dar vita alla trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo dello scrittore americano Stephen Amidon i cui diritti sono stati a lungo contesi e poi acquisiti dalla ‘nostra’ Indiana Productions che ha messo in piedi una importante co-produzione con la francese Manny Films e con Rai Cinema.

Una squadra vincente
Dopo il rifiuto di Medusa, che non ha creduto fino in fondo nel talento di Paolo Virzì rifiutandosi di co-produrre e distribuire il film dopo tanti anni di collaborazione, Il capitale umano è stato accolto a braccia aperte da RaiCinema e 01Distribution (che aveva distribuito anche Tutti i santi giorni) che si sono invece buttati a capofitto nel progetto che ha portato per la prima volta il regista toscano in ‘trasferta’ al nord alle prese con una troupe internazionale. Ad aiutarlo nella scrittura del film Francesco Bruni e Francesco Piccolo, i due compagni di viaggio che lo hanno accompagnato per tanti film e tanti anni e che stavolta hanno dovuto fare i conti con la scomposizione e la ricostruzione di un romanzo dalla struttura narrativa già di per sé piuttosto elaborata e con una storia corale con tanti personaggi da raccontare. Impronta di famiglia per le musiche curate da Carlo Virzì, fratello del regista, abile nel creare il fitto di alone di mistero che avvolge tutta la storia e nel trasmettere nello spettatore una costante sensazione di allarme. Un plauso va anche alla montatrice del film Cecilia Zanuso il cui contributo è stato pressoché decisivo sia per le difficoltà di restituire al film la struttura a mosaico sia perché il girato doveva per forza di cosa prestarsi per una continua rielaborazione.

Dal libro al grande schermo, dal Connecticut alla Brianza
Narrato come una sorta di mosaico, Il capitale umano è diviso in tre capitoli in cui la storia viene raccontata da tre diversi punti di vista (quelli dei tre personaggi centrali del racconto) che però differiscono molto da offerti dal romanzo di Amidon (che ha molto amato la trasposizione ed è diventato grande amico del regista), ambientato nella provincia americana del Connecticut che, capitolo dopo capitolo, offre un punto di vista ogni volta diverso tornando successivamente su ogni singola vicenda aggiungendo particolari e dettagli man mano che ci si avvicina alla fine. Nel film, ambientato nel gelo umano e climatico della Brianza, la storia tralascia quasi per intero il background dei personaggi per addentrarsi maggiormente nella descrizione delle relazioni che si intersecano tra essi e il racconto ricomincia per tre volte da capo fermandosi sempre un istante prima di svelare il mistero sull’incidente che costituisce il fulcro della parte finale incentrata sulle indagini e sulle reazioni a catena cui la tragedia da inizio. Al contrario del resto del film nella parte finale tutto accade velocemente e lo spettatore viene trascinato in un violento vortice di emozioni che culmina con un finale emotivamente devastante e carico di amarezza.

Il nuovo Virzì
Tanti i temi toccati dall’undicesimo film da regista di Paolo Virzì che capita in un delicato, per non dire drammatico, momento per il nostro Paese. Il capitale umano racconta con equilibrio, rigore ed eleganza le vicende di due famiglie infelici devastate dai loro stessi sogni e da conflitti sociali e generazionali mentre sullo sfondo compare la crisi del mondo del lavoro, l’avidità imperante, la competizione a tutti i costi e a tutti i livelli, la crisi politica, economica e finanziaria che sembra inghiottire i risparmi e la dignità della gente, la predilezione del guadagno facile e immediato rispetto alla fatica di un guadagno onesto ottenuto col sudore e con lo studio, il ruolo sempre più marginale della cultura. Contaminazioni di cinema nordico, il dramma francese che fa capolino, l’ironia della commedia all’italiana più pungente e acuta, la suspense dei thriller americani (si percepisce che Virzì è un grande fan di Guillermo Arriaga, sceneggiatore di Alejandro González Iñárritu e in giuria all’ultima edizione del Torino Film Festival insieme ad Amidon) il sarcasmo e lo humor nero del cinema spagnolo: c’è tanto cinema ne Il capitale umano ma c’è soprattutto la capacità straordinaria del suo regista di spingersi oltre e di mettersi alla prova con nuove sfide senza mai perdere l’entusiasmo, la semplicità e quello sguardo ironico, disincantato e feroce che lo ha sempre contraddistinto. Non dimentica Virzì, non dimentica di essere se stesso come non dimentica di raccontare l’Italia che si avvicina sempre di più e pericolosamente al modello americano, di farci riflettere sulle passioni, sui sentimenti, sulle fragilità, sui silenzi e sulle solitudini di uomini e donne travolti dalla vita, incapaci di convivere con le proprie sconfitte e di mettere gli affetti davanti a tutto il resto.

Buona la prima
Alla prima volta di Virzì alle prese con il thriller drammatico, con una co-produzione internazionale e un ‘look’ degno del miglior cinema americano, si unisce la prima volta che i cinque attori protagonisti (per di più tutti registi) lavorano con il loro amico Paolo. Parliamo di Fabrizio Gifuni e Valeria Bruni Tedeschi (i ricchi e infelici signori Bernaschi del film), di Fabrizio Bentivoglio e Valeria Golino (che dopo dieci anni d’amore nella vita privata, conclusi ormai da un pezzo, tornano a fare coppia sul grande schermo nei panni del viscido immobiliarista e della sua compagna) e di Luigi Lo Cascio, che nel film interpreta un colto e scaltro insegnante di teatro originario del sud che entra in ‘contatto’ con l’elegante signora Bernaschi quando intravede la possibilità di diventare direttore artistico di un piccolo teatro di provincia da ristrutturare. Un’interpretazione straordinaria e fuori dalle righe per Bentivoglio che veste i panni di un personaggio a limite tra umanità e mostruosa normalità che, sia nelle movenze che nel linguaggio, ha sempre qualcosa fuori misura. Gifuni sveste i panni del brav’uomo per trasformarsi in uno squalo della finanza, un meschino affarista vittima dei suoi deliri di onnipotenza che non perdere mai la sua eleganza e non rinuncia al suo aplomb.

Convincente anche la prova di Valeria Bruni Tedeschi, che con la sua sensuale naturalezza, che a volte si trasforma in goffaggine, riesce a far vibrare la macchina da presa e a lavorare in sottrazione nei panni della dolente signora Bernaschi, una donna che ha rinunciato ai suoi sogni artistici per fare la mantenuta. Brilla anche l’interpretazione di Valeria Golino, nei panni dell’unico personaggio veramente adulto ed equilibrato del film e cioè di Roberta, una giovane psicologa innamorata di un uomo che sulla carta non ha niente in comune con lei. Un plauso va poi ai giovani del cast, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli e Matilde Gioli, quest’ultima a dir poco strabiliante sia per bellezza (un mix tra Angelina Jolie e Eva Green) che per bravura.

Luciana Morelli per Movieplayer.it Leggi