Things People Do

Quella del regista è una riflessione intima sulla conseguenze delle difficoltà della vita, il percorso di un uomo che rischia di perdere efficacia perché a tratti macchiato da un accenno di troppo di retorica.

Bill Scanlin ha una vita felice: moglie, figli e un lavoro che gli permette una casa di tutto rispetto. Un’esistenza messa a rischio quando Bill perde il lavoro e si trova ad affrontare i mille problemi che ne conseguono… senza comunicarlo alla moglie.
Giorno dopo giorno, esce di casa al mattina come se andasse in ufficio, si dà da fare per trovare un nuovo impiego e modi per pagare i conti di una vita agiata, ma senza successo. Finché non rinviene casualmente una vecchia pistola appartenuta al padre e, quasi per caso, si ritrova a compiere la sua prima rapina a mano armata. Di lì ad una vita da fuorilegge il passo è breve e compiuto con disinvoltura. Solo Frank, amico detective conosciuto al bowling, sembra capire qualcosa e dovrà scegliere se seguire la strada su cui lo conducono gli indizi.

Né buoni né cattivi
Giusto o sbagliato, buono o cattivo, concetti che perdono definizione, i cui margini si fanno astratti e confusi quando gli ostacoli della vita si frappongono sul cammino del protagonista. Le sue azioni, come recitano il titolo Things People Do e gli stessi personaggi, non sono altro che “cose che la gente fa”.
Wes Bentley regge bene il percorso di Bill su questa strada, sorretto dall’unica altra figura di spessore del film: l’amico detective interpretato da Jason Isaacs. È infatti nei loro dialoghi, e nel loro rapporto, che si sviluppa il cuore del film, accompagnando il percorso (a)morale del protagonista.

Riflessione retorica
C’è la crisi mondiale sullo sfondo della storia di Things People Do, ma non si tratta di una presenza incombente ed astratta, piuttosto qualcosa che si manifesta concretamente nelle difficoltà di Bill nel trovare un nuovo lavoro e sostenere il livello di vita che vorrebbe assicurare alla sua famiglia. Quella di Saar Klein, qui alla sua opera di esordio, è una riflessione intima sulla conseguenze di tale difficoltà, il percorso di un uomo che rischia di perdere efficacia perché a tratti macchiato da un accenno di troppo di retorica.
Non abbastanza, però, da rovinare il film, che sa rendere Wes Bentley un adeguato motore per far girare il meccanismo messo in scena dall’autore.

Antonio Cuomo per Movieplayer.it Leggi