Black Coal, Thin Ice

Opera scritta con grande intelligenza, quello di Yi'nan è un noir capace di attrarre lo spettatore con i suoi ritmi alternati, le atmosfere giuste, dominate dagli ipnotici paesaggi glaciali della Cina del nord, e dei personaggi descritti a tutto tondo.

Il ritrovamento di una mano mozzata all’interno di un nastro trasportatore che raccoglie e distribuisce il carbone è l’inizio di un’indagine che per il poliziotto Zhang Zili si rivelerà fatale. L’agente perde il distintivo, infatti, a seguito di un incidente avvenuto durante le ricognizioni e in cui hanno perso la vita due suoi compagni. Alcuni anni dopo, lasciato dalla moglie, alcolizzato e senza più ragioni per andare avanti, decide di riprendere il cammino interrotto aiutando un collega a risolvere un caso simile al precedente. Tutto sembra ricondurre ad una donna, Wu Zhizhem, a quanto pare legata a doppio filo alle vittime. Zili tenta un approccio presentandosi in incognito nella lavanderia in cui la ragazza lavora e giorno dopo giorno riesce a completare il mosaico, fino a trovare il tassello mancante, quello decisivo.
E’ sicuramente una delle sorprese più liete della 64.ma edizione del Festival di Berlino, il film di Diao Yi’nan, Black Coal, Thin Ice, un’opera ironica e scoppiettante, scritta con grande intelligenza, capace di attrarre lo spettatore con i suoi ritmi alternati, le atmosfere giuste, dominate dagli ipnotici paesaggi glaciali della Cina del nord, e dei personaggi descritti a tutto tondo. In fondo sono questi gli ingredienti che hanno reso possibile il mix vincente.

50 sfumature di noir
Anzitutto la storia, un plot in cui possiamo leggere in controluce alcuni degli archetipi del noir, un protagonista in disarmo, in crisi morale ed esistenziale, una femme fatale in grado di trascinarlo all’inferno, ma anche di spingerlo a risalire la china, le indagini che lentamente prendono corpo, con tanto di rivelazione finale illuminante. Yi’nan però fa di più. Aggiunge alla storia dei tocchi umoristici, alcuni dei quali davvero esilaranti, che l’alleggeriscono senza toglierle importanza e si concede un paio di sequenze ‘pulp’, come la feroce sparatoria nel salone di bellezza, che per la loro carica grottesca diventano delle digressioni pertinenti. Dove riesce il ‘miracolo’, però, è nella resa dei protagonisti, verso cui il regista è molto generoso. Senza questo sguardo profondamente umano e mai giudicante sulle loro vicende personali, il film non avrebbe avuto lo stesso impatto. Zhang Zili, interpretato con efficacia da Wang Xuebing, è la quintessenza dell’antieroe sull’orlo dell’abisso, la sua discesa agli inferi è tanto pesante e opprimente, quanto funambolica ci appare la sua risalita. Si potrebbe discutere sul fatto che la trama subisca un’accelerazione (forse innaturale) nella parte finale, che risulta quindi molto più ricca di colpi di scena della prima; tuttavia la mano di Yi’nan è così ferma e calibrata da rendere tutto credibile, anche in una storia in cui, com’è giusto che sia, nulla è come sembra.

Cherchez la femme!
Fondamentale in ogni noir che si rispetti, la femme fatale di questo film non ha lunghi capelli biondi, non esprime una sensualità sfacciata, ma è incarnata dalla minuta di Gwei Lun Mei, la cui fisicità riesce per contrasto a esprimere al meglio i suoi tormenti interiori. E’ il motore della storia, il detonatore che spinge il protagonista ad intraprendere il suo percorso di redenzione. E’ una creatura fragile, che scivola su superfici ghiacciate certa di non potersi salvare, una donna che non esita a tradire, se le circostanze lo richiedono, sottilmente tragica. Grazie a questo legame tra i protagonisti, una vera e propria corrente elettrica che li unisce, Yi’nan ci consegna un film riuscito, con un doppio finale indimenticabile, che riesce a offrire a tutti e due un’uscita di scena da applausi.

Francesca Fiorentino per Movieplayer.it Leggi