Difret

"Difret" è un film articolato eppure diretto allo stesso tempo, non un freddo resoconto di un caso reale denso di tecnicismi legali, ma toccante racconto che emoziona e colpisce con forza ed eleganza.

Nonostante la rapida evoluzione tecnologica che ha investito una parte del nostro mondo, soprattutto quello occidentale, e la maggior diffusione di informazioni ed accesso ad esse, ogni angolo del nostro pianeta continua a mantenere almeno parte delle sue caratteristiche culturali e sociali. Parliamo di abitudini quotidiane, ma anche rituali e tradizioni più profondamente radicati che all’occhio straniero non possono che apparire come perversioni e che solo negli ultimo anni si stanno in parte superando.
È per esempio il caso del telafi.

Il ratto di Hirut
Si tratta della pratica del rapimento a scopo di matrimonio, abitudine comune del piccolo paese a tre ore da Addis Abeba in cui è ambientata la storia di Difret, film dell’etiope Zeresenay Mehari vincitore del Sundance e presentato nella sezione Panorama di Berlino 2014.
È la storia della quattordicenne Hirut, rapita da tre uomini a cavallo di ritorno da scuola e stuprata prima di riuscire a scappare. Una fuga che diventa dramma perché la ragazza riesce ad impossessarsi di uno dei fucili degli uomini e spara, uccidendolo, il futuro marito.
L’avvocato Meaza Ashenafi arriva dalla città per difendere la ragazza, sostenendo la legittima difesa e scontrandosi con i paradossi di un sistema legale che riconosce la pratica del rapimento a scopo di matrimonio, costringendola ad immergersi in una battaglia per i diritti civili che ha segnato una svolta storica per l’Etiopia, facendo nascere e sviluppare la stessa organizzazione di cui l’avvocato fa parte.

20 anni come secoli
Quella di Difret è infatti una storia vera, ambientata in un 1996 che per i nostri presupposti culturali appare lontano secoli. Un 1996 che è anche la vigilia del trasferimento del regista Zeresenay Mehari in USA per studiare cinema all’Università del Sud della California e che assume significati ancor più importanti per lui. Nonostante la formazione americana, però, il regista ha preteso che la storia fosse scritta, prodotta e realizzata nel suo paese d’origine, affinché potesse parlare al suo popolo.
Ciò che è certo è che riesce a trasmettere anche a noi il suo messaggio, il senso di una battaglia che rappresenta un punto di svolta e cambiamento per un paese. E non ci riesce solo perché la sua cifra stilistica, certamente influenzata dai suoi studi, è vicina a quella occidentale, ma perché la riesce a rendere Difret un film articolato eppure diretto allo stesso tempo, non un freddo resoconto di un caso reale denso di tecnicismi legali, ma toccante racconto che emoziona e colpisce con forza ed eleganza.

Storia di due donne
L’aspetto processuale che riguarda il caso di Hirut è però soltanto una solida base su cui poggia il film. Su di esso si ricamano le storie di due ugualmente forti, nonostante la differenza d’età che le separa: la piccola, coraggiosa Hirut e la forte e decisa Meaza Ashenafi che si dedica a lei.
Abilissime entrambe le interpreti Tizita Hagere e Meron Getnet, che ne dipingono le figure, efficace il modo in cui le loro storie si intrecciano e vengono messe in scena dal regista, senza eccedere in pietismi, mettendole sotto i riflettori nei momenti giusti della storia. Ne è esempio lampante l’intenso primo piano dell’avvocato nel pronunciare il sup discorso al processo, con sguardo fiero e sicuro in camera, per parlare agli spettatori di tutto il mondo.

Antonio Cuomo per Movieplayer.it Leggi