Falso specchio – Finalmente documentario
Speciale Diario 50°Festival dei Popoli a cura di Silvio Grasselli
Parte I
03/11/09 – Finalmente lIcononauta è tornato a Firenze. Domenica scorsa il Festival dei Popoli nella fastosa e regale sede del Cinema Odeon (il cinema da solo vale una visita a Firenze) ha ufficialmente inaugurato la sua cinquantesima edizione. E subito sono giunte mirabili visioni. Ad aprire le danze lultimo vivacissimo film di Luc Moullet, già presentato a Cannes ma che nel palinsesto fiorentino trova la sua sede più adatta. La terre de la folie rappresenta un non-classico esempio del documentario di creazione e dautore: il regista scrive e monta un film metanarrativo, metacinematografico e pieno dironia raccogliendo in una collezione macabra e bizzarra le vicende delle genti della valle in cui egli stesso è nato e cresciuto e dove ancora vive. Tra le più impervie Alpi francesi esisterebbe un pentagono o un esagono, come finisce per dire il regista che con la propria voce e i gesti del proprio corpo orchestra e amministra lintero impianto del film – della follia, una regione in cui morte e pazzia si rincorrono di generazione in generazione senza che si riesca a comprendere i motivi delle vicende misteriose ed efferate che da lungo tempo insanguinano creste, pianori e dirupi.
Poi è stata la volta del secondo passaggio al festival di Massimo Danolfi e Martina Parenti che dopo I Promessi sposi, questanno hanno presentato in concorso Grandi speranze. Seguitando lo stile implicito ma carico di sapida ironia del precedente lavoro, la coppia di filmmaker segue stavolta tre giovani imprenditori sul cammino delle loro sfide al mercato globale. Dalla Pianura Padana alla Cina DAnolfi&Parenti collezionano icastici momenti dumanità contemporanea, senza però mai riuscire a trovare lo scarto, a comporre un discorso vero e proprio, a imprimere ai materiali raccolti il verso duna necessità.
Il film che più cha colpito e coinvolto è stato linaspettato Vivre Ici del tunisino Mohamed Zran. Zran è autore noto e affermato anche in Europa, ma più per i suoi lungometraggi di finzione che per il suo lavoro da documentarista. Il suo ultimo lavoro è un notevolissimo film damore per la propria terra, la Tunisia, e la propria gente, gli abitanti del villaggio di Zarvis. La forza dellosservazione di Zran, oltre che dalla lunga esperienza dietro la m.d.p., viene dal tempo che il regista dedica ai suoi protagonisti: corpi, volti, voci e sguardi conosciuti talmente bene da poterne anticipare gli scarti, assecondare le evoluzioni, aspettarne o suggerirne gli inaspettati trasalimenti. Il film di Zran ricorda e ci dimostra in modo più che evidente quanta importanza abbia il tempo nel processo di produzione del film documentario. Per questo motivo inauguriamo questo piccolo diario che offriamo come tributo al più bel festival di cinema documentario che sia mai stato inventato, consegnando alle vostre orecchie un colloquio con Mohamed Zran registrato senza interruzioni, proposto senza tagli di montaggio, senza ritocchi o rimodulazioni. Un colloquio che, avendo la possibilità di svilupparsi nel naturale tempo dellincontro, offre unesperienza diversa rispetto a qualsiasi altra intervista di taglio giornalistico, invariabilmente sintetica ed esplicita.