Pesaro: la denuncia che cambia le cose

La nostra intervista alla regista russa Elena Pogrebizhskaja che, attraverso il suo documentario "Mama, I'm gonna kill you" ha dato inizio a un dibattito e al conseguente cambiamento della legislazione che regola le case-famiglia per minorenni.
Intervista a Elena Pogrebizhskaja a cura di Giovanna Barreca

La retrospettiva sguardi femminili alla cinquantesima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo cinema di Pesaro sta permettendo agli spettatori e ai critici presenti di scoprire opere inedite in Italia e di capire quale nuove strade stanno intraprendendo le giovani autrici russe. Si susseguono proiezioni di film censurati in madrepatria e altre che hanno scosso l’opinione pubblica e sono arrivate anche a cambiare la legislazione in vigore. Quest’ultimo è il caso di Mama, I’m gonna kill you di Elena Pogrebizhskaja che denuncia la situazione delle case-famiglia dove i bambini orfani vengono rinchiusi e facilmente etichettati come malati mentali e quindi sottoposti a programmi educativi speciali.
Non entrando direttamente in tali strutture ma lasciando che un’amica volontaria da anni riprendesse i bambini e dialogasse con loro – anche perchè, come ci rivela nell’intervista, uno sguardo così partecipe con i piccoli nessuno da esterno avrebbe potuto raggiungerlo in pochi giorni di ripresa – li racconta. E così denuncia. I responsabili della struttura volevano negare il permesso perchè timorosi che la macchina indugiasse sui luoghi sporchi e degradati e quando si è parlato di conversazioni con i bambini si sono tranquillizzati, incapaci di capire che la denuncia e il vero obominio non è legato al farli vivere in strutture malsane ma a distruggerne l’infanzia e con essa comprometterne – come rivelano le agghiaccianti cifre che chiudono il doc – il futuro di adulti per sempre: neppure il 10% condurrà una vita ‘normale’. Sasha, Nastja e Lekha definiti malati mentali e costretti a un programma educativo speciale non potranno integrarsi nella società, avere un lavoro regolare.
Elena Pogrebizhaskaja aveva un hard disk con oltre un tera di materiale, migliaia di ore di girato e con un montaggio serrato che costringe lo spettatore a rimanere legato a tali immagini dal primo fotogramma all’ultimo, lo cattura evitando – e questo è un grande pregio del film – l’abbandono alla facile emozione e alla retorica. L’autrice sceglie un taglio giornalistico che mette al centro della narrazione l’individuo bimbo. Sconvolgono i discorsi dei bambini perchè attraverso le loro parole si capisce quanto male gli sia stato fatto dagli adulti che li hanno catalogati e chiusi in un recinto mentale senza ragione. Nell’intervista l’autrice nata a Kamenka nel 1972, ci rivela qualcosa dei suoi prossimo progetti, incentrati ancora su un cinema di forte impegno civile.

GIOVANNA BARRECA