Una giornata Med

13/11/09 - Arrivato ormai alla quindicesima edizione il Med Film Festival (a Roma dal 7 al...

Medfilm festival 2009: piccola cronaca esemplificativa di un’esperienza cinematografica di alto profilo

13/11/09 – Arrivato ormai alla quindicesima edizione il Medfilm Festival (a Roma dal 7 al 15 novembre presso l’Auditorium della Conciliazione, il Palazzo delle Esposizioni, il Nuovo Cinema Aquila e Villa Medici) rappresenta uno degli appuntamenti più ghiotti per chi ama cibarsi di quel cinema di difficile reperibilità che racconta culture e storie a noi lontane (a volte nemmeno troppo) e che vede il bacino del Mediterraneo come fulcro delle sue narrazioni. Un modo per accostarsi e comunicare con culture “altre”, capire e capirsi in un concentrato di cinema dalla forte connotazione sociale. Tanto che vale la pena di raccontare anche solo una giornata tipo al Festival (nello specifico quella di mercoledì 11) presso il Palazzo delle Esposizioni:

JournéeDeLaJupePer cominciare “La journéè de la jupe” di Jean-Paul Lilienfeld, che racconta la storia di Sonia Bergerac, insegnante di una scuola superiore francese, che dopo i continui maltrattamenti e le vessazioni da parte dei suoi studenti decide di sequestrarli. Sfocerà in tragedia. Ritratto veritiero e conturbante della scuola pubblica, fra storie di razzismo, violenza e degrado culturale, sociale, morale e urbano. Regia di forte impianto teatrale, mancante di un linguaggio propriamente filmico, l’opera, distribuita in Francia sul piccolo schermo attraverso il canale Arte, vive e palpita grazie alla presenza della straordinaria Isabelle Adjani, che ritrae un nuovo personaggio ai limiti della follia. Già presentato al Festival Berlino nella sezione “Panorama” e al Roma Fiction Fest.

DOWAHA“Dowaha” (2008) di Raja Amari, la regista tunisina, autrice di “Satin Rouge”, racconta la storia di Aiche, Radia e della loro madre, che vivono separate dal resto del mondo in una sorta di precaria solitudine e un apparente “barricamento” nelle proprie tradizioni. Ma vi è qualcosa che si scatena dentro di loro quando nella villa abbandonata nella quale vivono si trasferisce una giovane coppia. La regista sviluppa un thriller dell’anima tutto al femminile, nel quale entrano in gioco forti meccanismi psicologici e grandi problemi interiori in un gioco che diventa, col dipanarsi della vicenda, sempre più complicato e drammatico. Pur con qualche incertezza formale, la Amari conferma il suo talento nel portare alla luce le contraddittorie realtà del suo Paese.

35ruhms“35 Rhums” (2008) di Claire Denis (che in questa edizione del festival viene omaggiata con un premio alla carriera). Béh, che dire? Ancora una volta il tocco della regista francese è palpabile in questo suo lavoro già passato a Venezia 65, che mescola il rapporto fra le tradizioni africane e quelle più europee. Anche se, a differenza di “Chocolat”, dove lo sfondo è il Camerun di dominazione francese poco prima dell’indipendenza, questo film racconta una realtà europea molto più sedimentata nella contemporaneità, nella storia di questo padre e questa figlia di origini africane, vissuti in simbiosi, che non riescono a staccarsi l’uno dall’altra e voltare pagina nella loro vita. L’integrazione non appare come il tema fondamentale della vicenda, ma ne acquisisce connotati sottintesi, impalpabili. Silenzi e solitudini, sono visione di uno sguardo umano di incredibile sensibilità, nella quale il passaggio, il cambiamento appare dovuto e indispensabile.

Athanasia“Kala krymmena mystika, Athanasia” (2008), del greco Panos Karkanevatos, affonda le sue radici narrative nel canonico dualismo fra passato (1970) e presente (2007), tradizione e modernità, Grecia e Canada, nella tragica storia di Athanasia, una giovane donna greca caduta in disgrazia dopo essere rimasta incinta del marito della sorella maggiore e per questo messa al bando dalla piccola comunità dell’isola di Karpathos nella quale vive. “Salvata” da un fotografo canadese, si trasferisce nella terra di lui e lo sposa. Oltre trent’anni dopo, la figlia della donna, frutto di quel “tradimento”, scopre la verità sull’identità del suo vero padre e và in Grecia a cercarlo, accompagnata dall’unico uomo che da lei può farsi chiamare padre. Sebbene sviluppata con uno stile piattamente televisivo e con un convenzionale uso del flashback, la pellicola di Karkanevatos mette in luce un magnifico ritratto femminile, come quello di Athanasia, perfettamente calibrata fra ardore e desiderio giovanile e durezza della maturità, scaturita dall’esperienza subita. L’opera si rivela un grande film d’attori, impreziosito dalla presenza di R.H. Thomson, interprete canadese di rara efficacia nel ruolo del fotografo, compagno e padre amorevole, ma fra la Athanasia giovane e “arcaica” di Marina Kalogirou e quella matura e “moderna” di Stavroula Logothettis, senza nulla togliere alla prima, vince la drammatica interiorizzazione di quest’ultima e di conseguenza la parte “canadese” della pellicola, più sensibile e sfumata anche da un punto di vista di sceneggiatura.

(ERMINIO FISCHETTI)