CA’ Foscari 2015: l’India di Iannetta

Il festival veneziano inizia con un focus sulla scuola indiana che ha formato grandi cineasti e ha visto diplomarsi l'italiano Andrea Iannetta con "Allah is great". Omaggio a Pasolini e i primi cortometraggi del concorso con potente lavoro israeliano di Nadav Mishai.
Intervista ad Andrea Iannetta regista di Allah is Great

allah01La qualità dei cortometraggi del Ca’Foscari Short film festival, in concorso e non, cresce notevolmente ogni anno. Non solo per un digitale sempre più adatto alle storie raccontate e per un linguaggio che dopo 120 anni non smette di evolversi e affascinare anche i nativi digitali ma anche grazie ad autori che ritornano alla pellicola 35 mm per trovare una foto avvolgente e calda. Nonostante la fatica di una camera pesante oltre 50 chilogrammi, mai posata su cavalletto ma sempre accanto ai personaggi, Andrea Iannetta, autore del cortometraggio Allah is great, è il primo dei regista presente nella giornata inaugurale del festival a raccontarci la sua opera girata in pellicola. Lavoro di diploma è stato presentato all’interno di un focus sull’India con la proiezione di 5 film dei più grandi autori indiani formatosi nella scuola di Pune. The Film & Television Institute venne fondato negli anni ’50, con un leggero ritardo del Paese rispetto ad altre nazioni perché il Mahatma Gandhi non amava tale arte e non ne incentivò la diffusione. Invece nel 1961, anche grazie al forte sostegno governativo, furono istituiti i primi corsi di diploma in regia, fotografia e montaggio. Fu l’inizio di un processo che portò alla creazione di molti altri corsi e alla nascita di altre scuole in tutta l’India. Lo stesso Iannetta racconta al pubblico, e anche durante la nostra intervista, che il pubblico indiano segue molto il cinema nazionale, a differenza di quanto accade in Europa. Se ne nutre e lo segue con molta attenzione, sia che si tratti di mainstream, sia che si tratti di cinema indipendente. Il regista romano, che ora cerca di portare avanti il suo lavoro a Berlino, scelse l’India dopo la laurea alla Sapienza perché da subito era interessato ad avere un’altra visione del mondo e a confrontarsi con una realtà completamente diversa anche di approcciare il mezzo filmico. In Allah is great realizza un film che indaga quello che l’autore chiama “un Islam della pace”, definizione che da subito colpisce gli spettatori mentre in sala arrivano le notizie tragiche dell’attentato a Tunisi. In India i musulmani sono una minoranza spesso perseguitata e qui il protagonista è un tassista che risolve problemi automobilistici mentre si ferma per la preghiera e che, nonostante una serie di imprevisti, riesce a portare all’aeroporto il passeggero danese. Il corto racconta il loro incontro fatto di iniziale cordialità e poi sempre più di diffidenza fino ad arrivare allo scontro, con un finale del tutto inatteso. L’opera esprime la vita attraverso gli imprevisti, la comicità e la drammaticità, con un profondo messaggio di speranza finale: il tassista nuovamente rivolto alla Mecca per la sua preghiera, nonostante tutto. L’ottimismo di chi ha perso ma nutre ancora e sempre una speranza nel futuro. E lo sguardo dell’occidentale che si pone diverse domande.
Il focus è stato anche l’occasione per vedere i primi cortometraggi di diploma di grandi autori della cinematografia indiana come Kumar Shahani (La lastra di vetro, 1966), Mani Kaul (Il pellegrino, 1966), Amit Dutta (Continua, 2007) e Umesh Kulkarni con La macina del 2005. E proprio quest’ultimo lavoro è quello che ha maggiormente affascinato la platea perché è un’opera che richiama fortemente per l’uso del mezzo il neorealismo italiano con il piccolo protagonista vittima dell’alienazione causata da una macina portata nella sua casa: prima gioco e poi terribile incubo con il suo rumore che lo perseguita a scuola, per strada, ovunque. Il tutto all’interno di un realtà fatta di quartieri popolari, piccoli soprusi tra bambini e debiti da soldare.
Nella prima giornata di programmazione dello Short anche un workshop sull’animazione, diviso come ogni anno in tre appuntamenti guidati da Davide Giurlando, l’omaggio al Pier Paolo Pasolini de La ricotta con Orson Welles e delle interviste dove non si sottraeva a riflessioni sul potere e i suoi riti, il conformismo e su quanto considerasse l’arte una forma di anarchia al potere.
Del corcorso internazionale segnaliamo il potente lavoro realizzato alla School of Audio and Visual Arts Sapir College dall’israeliana Nadav Mishai che in Eishech ci racconta, nella prima scena, il rito dello Mikveh, con la sposa che si immerge nell’acqua per purificarsi e poter quindi avere rapporti sessuali col marito. Un rito gabbia, come capiremo rivedendo l’immagine a chiusura del cortometraggio, perché la ragazza è bloccata in un rapporto pieno di frustrazione dal quale non sa come uscire. L’acqua come limbo: ogni mese arriva la notte attesa ma non succede mai nulla perché il marito è legato sentimentalmente al suo compagno di studi religiosi.

giovanna barreca