La guerra di Fukunaga

Due parole su Netflix, giusto per chiarire: “E’ arrivata quando il film era già in sala montaggio, quindi non ha avuto alcun impatto sulla sua realizzazione”. E poi: “Se contribuirà a rendere il mondo della distribuzione più democratico, sarà una fortuna per tutti. Oggi è difficile portare la gente in sala. Spesso le persone nemmeno sanno quali titoli sono in programmazione. I riflettori sono puntati su pochi film evento, mentre gli altri vengono ignorati e smontati dopo pochissimo tempo”. Netflix te li porta direttamente in salotto? “Va benissimo, anche se credo sia difficile far vedere qualcosa mentre si può fare qualcos’altro”. Insomma per Cary Fukunaga, osannato regista della prima stagione di True Detective (e anche del bellissimo Sin Nombre, inedito in Italia), Netflix è una benedizione – gli ha prodotto il film, lo distribuirà attraverso la sua piattaforma e in un numero ristretto di sale (dal 16 ottobre), gli ha già assicurato un ritorno pubblicitario insolito per questo tipo di operazioni (non esattamente per tutti i gusti) – e anche una potenziale seccatura: forse più gente vedrà il mio film, ma come? Con quale attenzione?
In attesa di sviluppi e di verifiche più accurate, registriamo l’accoglienza piuttosto controversa alla prima per la stampa di Beasts of No Nation, tratto dal romanzo omonimo di Iweala Uzodinma e incentrato su un bambino ghanese (Abraham Atta) arruolato da uno dei tanti eserciti mercenari che se ne vanno in giro per l’Africa per combattere una guerra dai fini ignoti, i connotati incerti e gli attori in gioco sempre provvisori. Il film, che non omette nessuna delle violenze sperimentate (e perpetrate) dai bamini soldato, si focalizza in particolare sul rapporto tra il piccolo protagonista e il comandante che lo “adotta”, un uomo senza scrupoli portato in scena con coraggio da Idris Elba.
“Il comandante – spiega Fukunaga – somiglia a un tizio che avevo incontrato una volta ad Haiti. Un membro di una gang che aveva fatto tante cose orribili ma che aveva un carisma irresistibile”. beasts-of-no-nation1
Sulla genesi del progetto: “Era da tempo che cercavo una storia così. Mi sono laureato in scienze politiche con una tesi sui conflitti nei paesi africani dopo la colonizzazione. Poi un mio amico mi ha regalato il romanzo, era il 2005 credo, e dopo averlo letto ho capito di aver trovato il mio film”. Che è fedele al romanzo, “anche se ho dovuto integrarlo con le mie conoscenze politiche, perché il libro soto questo aspetto non era molto circostanziato. Mi sono ispirato alla guerra civile in Liberia, anche se poi ho deciso di ambientare Beasts of No Nation in Ghana”. Si sprecano i rimandi al presente, con la barbarie dell’Isis e i metodi di indottrinamento dei bambini così simili a quelli mostrati nel film: “Tutti i gruppi fondamentalisti usano le stesse tecniche. Ma sarebbe sbagliato dire che ci siamo ispirati all’Isis. Questi terroristi non erano ancora così conosciuti quando abbiamo iniziato a girare.  Piuttosto abbiamo studiato le tribù dell’Africa. ”
Infine sulla violenza di molte scene e la difficoltà a farle fare a dei bambini : “L’intensità che si percepisce sullo schermo non è ovviamente la stessa che si respira sul set, dove tutto avviene in modo spezzettato e senza quel sangue o quella brutalità che invece il film finito trasmette. Eravamo preoccupati semmai per quanti sul set venivano effettivamente da un’esperienza di guerra. Potevano rivivere indirettamente quei traumi? Ce lo siamo chiesti e abbiamo usato tutte le cautele del caso. Crediamo di aver fatto un buon lavoro”.

Gianluca Arnone