Lo scambio: un lavoro in sottrazione

La discesa verso gli inferi che vede protagonisti un poliziotto alla prese con un interrogatorio e la moglie, nella loro casa, avvolta dai suoi fantasmi. In concorso al Torino film Festival il primo lungometraggio di finzione di Salvo Cuccia. Le nostre interviste.
Intervista a Barbara Tabita e Filippo Luna a cura di Giovanna Barreca
Intervista a Salvo Cuccia a cura di Giovanna Barreca

scambio02“Il film inizia con delle riprese che avevo realizzate nel mercato di Palermo tanti anni fa e le ho trasposte in versione fiction” ci spiega il regista Salvo Cuccia che al Torino Film Festival, dopo diversi lavori sul cinema del reale, presenta la sua prima opera (lungometraggio) di finzione Lo scambio, ispirata ai fatti criminali degli anni ’90 (in particolar modo alla tragica fine del piccolo Giuseppe Di Matteo rapito e poi disciolto nell’acido nel 1996), avvalendosi in fase di scrittura anche dell’intervista al magistrato Alfonso Sabella.
Il mercato con una sparatoria in pieno giorno dove un ragazzo muore e un altro viene ferito e poi la sorta di commissariato dove viene interrogato un presunto amico dei due, la casa della moglie del poliziotto, sono gli spazi del film che fungono, soprattutto per il poliziotto (Filippo Luna) e la moglie (Barbata Tabita) come sono una sorta di prolungamento dell’interiorità dei personaggi, come ci spiegano nell’intervista gli attori: “Nella casa la donna vive tutte le verità che lo spettatore scoprirà durante il film” sottolinea Tabita al suo primo ruolo drammatico del quale ci racconta l’affascinazione immediata. “La paranoia, lo sguardo a 360 gradi su tutto senza accorgersi di nulla. Tutta la sua sensibilità è mediata dalla paura di perdere se stesso” precisa Filippo Luna che ci racconta in maniera molto accurata il lavoro sul set per raccontare la discesa verso gli inferi di questa copppia.
E oltre agli spazi è fondamentale, per cercare di indagare la natura del film – tutto giocato sull’idea del fuoricampo e dell’allontanamento dai canoni classici del cinema sulla malavita organizzata italiana – sottolineare il senso di ambiguità che avvolge (o voleva cercare di avvolgere) lo spettatore anche attraverso i suoni che spesso raccontano tutto un universo (es. le posate per la donna che le pulisce e le appoggia in maniera precisa e meticolosa).

giovanna barreca