Miklós Jancsó al BFM

Bergamo Film Meeting offre le prime anticipazioni su quella che sarà la 34ª edizione del Festival, che si terrà dal 5 al 13 marzo 2016. La struttura generale è già definita e conferma il lavoro di ricerca continuo di Bergamo Film Meeting per mettere a confronto le tendenze più innovative del cinema contemporaneo con gli stili, i generi e gli autori del passato. Omaggi, retrospettive e restauri di grandi classici faranno da contrappunto ai film dei “nuovi autori”, che come di consueto troveranno spazio nella Mostra Concorso e nelle sezioni dedicate ai documentari, all’animazione, alle anteprime. Sostenuto e promosso dall’Unione Europea attraverso il sottoprogramma MEDIA di Europa Creativa, il Festival indagherà la cinematografia del continente, tra passato e presente, offrendo spunti, sollecitazioni, focus, novità e riletture.
Per nove giorni, con oltre 140 film, tra corti e lungometraggi, Bergamo Film Meeting sarà il crocevia del cinema internazionale; proporrà ospiti, incontri, eventi speciali, mostre, workshop, masterclass, laboratori e percorsi di visione per le scuole e i giovanissimi, e numerose iniziative che – grazie alla collaborazione di partner e istituzioni – consentiranno di spaziare tra le infinite contaminazioni del cinema con l’arte, la letteratura, la musica e i fumetti.

LA RETROSPETTIVA 2016 MIKLÓS JANCSÓ
Al grande maestro del cinema ungherese Miklós Jancsó (1921-2014) è dedicata l’ampia retrospettiva storica della 34ª edizione di Bergamo Film Meeting, realizzata in collaborazione con Magyar Nemzeti Digitális Archívum és Filmintézet, in occasione del restauro digitale delle opere del regista. Miklós Jancsó nasce a Vác (Budapest) nel 1921 da padre ungherese e madre rumena. La famiglia appartiene alla piccola nobiltà originaria della Transilvania, un tempo in territorio ungherese, assegnata poi alla Romania con i trattati del 1920. Durante la guerra studia diritto all’università, ma i suoi veri interessi riguardano l’etnologia e la storia dell’arte. Alla liberazione, diventa uno degli animatori del Movimento dei Collegi, dove alcuni giovani intellettuali hanno il compito di “formare” gli operai e i contadini, e di propagare tra il popolo la cultura politica del regime. Nel 1947 si iscrive all’Accademia d’Arte Teatrale e Cinematografica dove si laurea nel 1951.

Per dieci anni realizza documentari su ordinazione e si interessa del cinema fatto altrove, avvicinando autori come Wajda e Antonioni. Il suo primo lungometraggio è Oldás és kötes (Sciogliere e legare, 1963), che racconta il percorso esistenziale di un giovane chirurgo, incerto tanto della sua vocazione quanto della sua vita privata. Dal 1964 al 1972 dirige molti film in Ungheria e dall’inizio degli anni Settanta divide vita e attività artistica tra l’Ungheria e l’Italia. Il film Szegénylegények (I disperati di Sandor, 1966), lo fa conoscere al pubblico internazionale e ne fa l’esponente di spicco della nuova cinematografia ungherese. In patria gode di una posizione privilegiata: la celebrità acquisita gli permette di accedere a finanziamenti di gran lunga superiori a quelli riservati a altri registi. Allo stesso tempo, Jancsó matura uno stile molto personale: lunghi e audaci movimenti di macchina, piani-sequenza complessi e per certi versi sensuali, che amalgamo, in una sintesi di grande effetto spettacolare, paesaggi, coreografie, singoli individui, la brutalità del potere, il desiderio di libertà. Csend és kiáltás (Silenzio e grido, 1968), Csillagosok, katonák (L’armata a cavallo, 1967), Sirokkó (Scirocco d’inverno, 1969) e Még kér a nép (Salmo rosso, 1972), sono alcuni titoli che hanno costruito la fama del regista ungherese.

Il tema principale della sua riflessione cinematografica è la storia, con una scrittura che rifugge però in maniera decisa dai canoni del realismo socialista. Protagonisti del suo cinema sono lo spazio, come le pianure che bene si prestano allo schieramento degli eserciti, al racconto tridimensionale, entro cui la storia dell’Ungheria, dalla dichiarazione d’indipendenza del 1867 alla sconfitta della repubblica dei consigli, passando per la lotta dei partigiani accanto ai bolscevichi nel ‘17, assurge a simbolo delle trasformazioni politiche credute possibili in tutta Europa. Nei primi anni Settanta gira alcuni film in Italia, tra cui La pacifista (o Smetti di piovere, 1970), La tecnica e il rito (1974), Roma rivuole Cesare (1974) e il discusso Vizi privati, pubbliche virtù (1976), che trasforma la tragedia di Mayerling in un balletto erotico-funebre, in chiave austroungarica, sulla morte della famiglia.

Tornato in Ungheria, realizza altri film importanti come Magyar rapszódia (Rapsodia ungherese, 1979), L’aube (1986), Szörnyek évadja (La stagione dei mostri, 1987) e si dedica all’insegnamento presso la Filmm?vészeti F?iskola Színházm?vészeti di Budapest, e, fra il 1990 e il 1992, alla Harvard University. Nel 1990 Jancsó viene insignito del Leone d’oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Muore nel 2014 all’età di 92 anni.

Redazione