Bud Spencer (e Terence Hill)

1967, Dio perdona…Io no!. E’ questo l’incipit di un sodalizio artistico e umano tra i più sorprendenti e fecondi del cinema italiano. A incrociarsi sul set di Giuseppe Colizzi sono Carlo Pedersoli e Massimo Girotti: finite le riprese, per tutti diverranno Bud Spencer e Terence Hill.

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Prima della coppia
Gli esordi cinematografici di Mario Girotti, nato a Venezia il 23 marzo 1939, sono precoci. A 12 anni, durante una gara di nuoto, viene notato da Dino Risi che sta cercando cinque ragazzini per Vacanze col gangster. Nel 1957 Girotti è Luciano in Lazzarella di Carlo Ludovico Bragaglia, film campione di incassi che lo fa conoscere al pubblico. Nello stesso anno Gillo Pontecorvo lo sceglie per recitare a fianco di Yves Montand ne La grande strada azzurra, mentre è del 1952 il ruolo principale nello sceneggiato televisivo Il ritratto di Dorian Gray. Nel 1959 è nell’Annibale di Bragaglia, in cui recita anche Carlo Pedersoli, ma i due sono presenti in scene diverse per cui non si incontrano mai. Nel 1963, all’attivo 25 film, Mario viene scritturato da Luchino Visconti per il ruolo del conte Cavriaghi nel Gattopardo, al fianco di Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale. Dopo una parentesi in Germania, dove interpreta alcuni western della serie Winnetou e I Nibelunghi, nel 1967 torna in Italia per interpretare accanto a Rita Pavone Little Rita nel Far West di Ferdinando Baldi e La Feldmarescialla di Steno. Nello stesso anno in Italia sta iniziando la moda degli “spaghetti western” e Mario viene chiamato da Giuseppe Colizzi per sostituire l’attore Peter Martell (Pietro Martellazza) che è rimasto infortunato cadendo da cavallo in Dio perdona… Io no!. Qui Mario Girotti incontra Carlo Pedersoli. Nato a Napoli il 31 ottobre 1929, Carlo è pressoché digiuno di cinema: nel suo carnet, la partecipazione nel ruolo di una guardia imperiale a Quo Vadis nel 1951 e poco più.

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I due dell’Ave Maria
Nella desolata campagna di Almeria in Spagna, scelta da Colizzi per le analogie con il profondo West, parte l’avventura di coppia di Girotti e Pedersoli, che insieme gireranno diciassette film. Prima tappa, quasi d’obbligo data l’americanofilia cinematografica dell’epoca, è per entrambi il nome d’arte. Pedersoli conia l’alter ego Bud Spencer, in omaggio a Spencer Tracy e alla birra Budweiser, mentre Girotti sceglie in una rosa di venti nomi quello di Terence Hill. Dio perdona… Io no! pone le premesse dell’alchimia artistica tra i due interpreti nonché rivela in nuce le dinamiche caratteriali, oltre che ovviamente estetiche, di una strana coppia destinata al successo, subitaneo: il film si classifica tra i campioni d’incassi della stagione. Il territorio d’elezione è il western spaghetti, esplorato per la prima volta tre anni prima da Sergio Leone con Per un pugno di dollari. Colizzi, già assistente sul set e al montaggio de Il buono, il brutto e il cattivo, ha il merito di concedere libertà e autonomia espressive, nei limiti della rigida drammaturgia western di stampo leoniano, a Spencer e Hill. Pur “costretti” a una serietà e una violenza sconfessate dalle loro successive interpretazioni, i due iniziano a costruire i cliché che ne decreteranno la fama: Bud è grosso, forte, burbero e perennemente affamato nei panni dell’agente assicurativo Hearp, Terence snello, scaltro, ingegnoso e determinato pistolero. Tratti pertinenti che affineranno negli altri due capitoli della trilogia di Colizzi (regista, soggettista e sceneggiatore): I quattro dell’Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969). Nel secondo capitolo, Spencer inizia a usare le mani nude in risse dal sapore ludico, mentre Hill continua a mantenere un profilo grave e silenzioso, o meglio silenziato. Caratteristiche accentuate nell’irrisolto La collina degli stivali, dove Colizzi mette in scena gli estremi che delimiteranno in profondità la successiva filmografia di Bud e Terence: il violento, selvaggio West e il pittoresco universo circense.

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Li chiamavano Bud & Terence…
Non sarà però Colizzi a portare alla luce la vena comico-farsesca della coppia, bensì l’ex-direttore della fotografia Enzo Barboni aka E.B. Clucher che l’anno seguente firma il celebre Lo chiamavano Trinità, a cui arride un grande successo di pubblico, bissato con proporzioni ancora maggiori dal sequel Continuavano a chiamarlo Trinità nel 1971. Minimo comune denominatore del dittico è l’intento parodistico e il mood picaresco: Bud e Terence, ovvero Bambino e Trinità, abbandonano gli sguardi truci e il cipiglio serioso in favore di uno humour condito di buoni sentimenti, mettono la sordina alla violenza e diventano paladini scanzonati, svelti a menar le mani quanto pronti a sorridere. Trinità e Bambino si riservano un posto fisso nell’Olimpo del cinema popolare nazionale, stampigliando sull’immaginario collettivo la propria iconografia sui generis, fatta di contrapposizioni e antinomie fisico-caratteriali: Bud bruno e massiccio, Terence biondo e agile; il primo riservato, il secondo guascone. Punto di contatto irredimibile sono i combattimenti a mani nude, dove entrambi esprimono le proprie peculiarità su un fondale iperdinamico e ipercinetico, con coreografie innovative e impeccabile utilizzo degli stunt. Il canone è servito, anche sul piano drammaturgico: intervento di fronte all’avanzata del Male; sopravvento del Male e temporanea scissione della coppia; epilogo “due per uno, uno per due” e trionfo del Bene. Se Barboni sa cinematograficamente il fatto suo, l’esito oltremodo favorevole del dittico  – Continuavano a chiamarlo Trinità è ancora nella top ten degli incassi del cinema italiano di ogni tempo – si deve proprio a Bud e Terence, che tra scazzottate e battute salaci percorrono rette parallele e contigue nella direzione di un rinnovamento dei topoi western spaghetti, che proprio nei due attori trova i principali alfieri. Ma la loro successiva interpretazione abbandona questa piattaforma, per genere (cappa e spada), assenza di humour e soprattutto sperequazione tra il protagonista Hill e uno Spencer ridotto a mero comprimario: il film è Il corsaro nero, regia Lorenzo Gicca Palli in arte Vincent Thomas.

Trinità

Trinità e Bambino ai giorni nostri
Archiviata questa eversione dai parametri di coppia, Bud Spencer e Terence Hill sono pronti per fissare definitivamente le coordinate del loro modus operandi sullo schermo con …più forte ragazzi! diretto ancora da Giuseppe Colizzi nel 1972. Ambientato in Colombia, con i nostri in azione tra cielo e terra, il film rivela ormai compiutamente l’habitat emozionale (spirito d’avventura virato di nostalgia), il coté ideologico (la difesa dei deboli e la salvaguardia della natura, che discendono da un manicheismo pervasivo ma non invasivo), i profili psicologici (l’affilato scavezzacollo Hill, il burbero dal cuore d’oro Spencer), il genere di riferimento (mix di action e comicità in delicato equilibrio, tra dialoghi al fulmicotone e botte a go-go) e le ricorrenze stilistiche (ritmo serrato del montaggio, coreografie vibranti). Nel nome dell’intrattenimento, Spencer e Hill traspongono, adattano e codificano Trinità e Bambino nella contemporaneità. Analoghi ingredienti costituiscono il successivo …altrimenti ci arrabbiamo! (regia di Marcello Fondato, 1973), con i due attori impegnati in una gara automobilistica a Madrid per aggiudicarsi una fiammante Dune Buggy rossa. Continuando a percorrere i binari della loro lineare comicità, Spencer e Hill attestano altresì le regole della reciproca attrazione, lavorando sulla intensificazione degli opposti per far emergere paradossalmente un’immagine unitaria: budspencereterencehill. Sul tema Dune Buggy degli Oliver Onions, …altrimenti ci arrabbiamo! offre un entertainment scevro da qualsiasi implicazione socio-politica, a differenza del seguente Porgi l’altra guancia! (regia di Franco Rossi, 1974), in cui le Antille accolgono l’antirazzismo, il pacifismo e la difesa della natura, ma anche la critica all’istituzione ecclesiastica portata dalla coppia. Una coppia in forma strepitosa, indifferente alle secche della sceneggiatura e persino a proprio agio con la piattezza dei caratteri che è chiamata a interpretare sullo spartito della consueta action-comedy. Situazione invariata ne I due superpiedi quasi piatti (1977), dove Hill e Spencer ritrovano il loro mentore E.B. Clucher in una trasferta a Miami che veicola ancora esotismo, saldi valori morali (tra cui la redenzione di ex-malviventi), sequenze di botte pirotecniche, sano divertimento e toni da commedia umoristica. Sempre supportati da uno straordinario gruppo di stunt, Bud e Terence replicano per Sergio Corbucci in Pari e dispari (1978), calato nel mondo delle scommesse e impreziosito da una scrittura sempre attenta alle iperstilizzate e iperboliche parentesi “a pugni”, ma più strutturata del solito. La chiusura di questa decade d’oro è affidata a Io sto con gli ippopotami (1979) di Italo Zingarelli, che porta i nostri in Sud Africa tra animali e trafficanti d’avorio, senza lesinare sulle consuete baruffe e stigmatizzando i tratti pertinenti dei due, ormai quasi caricaturali: Spencer (in quello stesso anno ottiene il premio Jupiter quale star più popolare della Germania) nei panni di Tom regredisce a tal punto da portare al collo un ciuccio rosa, mentre Hill (il cugino Slim) è vieppiù scaltro e mordace. Stanno bene Bud e Terence, si concedono il lusso di mettere alla berlina i ricchi e vani turisti occidentali, issare la bandiera dell’ecologia e divertire il grande pubblico, con standard qualitativi non disprezzabili: il congedo dagli anni ’70 è compiuto e spumeggiante.

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Decadenti anni ‘80
Qui ancora mossa da nobili fini, pur commerciali, a partire dal successivo Chi trova un amico trova un tesoro (regia di Sergio Corbucci, 1981) l’ambientazione esotica diviene manifestamente essenziale a una poetica in carenza d’ossigeno creativo, incline al manierismo e destinata all’impasse. Sullo sfondo lussereggiante dei Caraibi, le figure di Bud e Terence iniziano a perdere in definizione, nonostante le coreografie delle scazzottate siano ancora da applausi. Difficoltà a cui due anni più tardi si tenta di ovviare giocando la carta della commistione di generi e registri, con i nostri impegnati a ribadire senza troppa convinzione il proprio status a partire dal titolo: Nati con la camicia, diretto dall’habitué E.B. Clucher. Imbrigliato anziché liberato dall’intreccio di commedia e spy-story, il film si ritorce su se stesso, sacrificando la vis comica dei nostri su canovacci esausti, la loro peculiare simpatia su una drammaturgia atona e involuta. Ancor più deludente è il successivo Non c’è due senza quattro (regia di E.B. Clucher, 1984), che tenta la via dello scambio di persona e della reiterazione per infondere linfa vitale, ma si risolve in qualche bella immagine-cartolina di Rio de Janeiro e poco più, con Bud e Terence ridotti a simulacri di se stessi, quasi annaspanti negli scontri fisici e carenti di verve dialogica. Nessuna variazione sul tema dodici mesi dopo per Miami supercops – I poliziotti dell’ottava squadra firmato dal “monnezzaro” Bruno Corbucci, che diserta il versante slapstick in favore di un romanticismo d’accatto, con Hill forzato rubacuori e la capitale della Florida a fare da esotica ed estetizzante quinta. Sono gli stessi Bud Spencer e Terence Hill a capire che è tempo di levare le tende, consapevoli di essere arrivati alla stasi poetica, ma anche di essersi guadagnati residenza stabile nel nostro immaginario collettivo. Riproveranno nove anni dopo a ritornare alle origini con il western Botte di Natale diretto dallo stesso Hill nel 1994, con esiti deludenti. Ma non importa, questa strana coppia non aveva più niente da dimostrare: noi tutti li chiamavamo e continuiamo a chiamarli Bud Spencer e Terence Hill.

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Testo di Federico Pontiggia, dal catalogo della XXV edizione di “PRIMO PIANO SULL’AUTORE: BUD SPENCER E TERENCE HILL” (Assisi, 20 – 25 novembre 2006)

Federico Pontiggia