Gandini e la “società dell’indipendenza”. Provocare per riflettere insieme

La teoria Svedese dell'amore di Erik Gandini, partendo dal mito dell'amore libero riflette in maniera provocatoria su una società "ossessionata dall'autosufficienza". Al cinema per Lab80. La nostra intervista al regista.
Intervista a Erik Gandini a cura di Giovanna Barreca

gandini01
“Analizzare i lati oscuri” afferma Erik Gandini spiegando perchè in La teoria svedese dell’amore, in sala dal 22 settembre per Lab80, ha voluto mostrare come il manifesto politico del 1972 sulla Famiglia del futuro per “liberare gli uomini dalle donne, gli anziani dai figli, i figli dai genitori” abbia portato a una società svedese diversa, vista spesso come un modello per il futuro del continente ma che presenta molte criticità che il regista italo-svedese mette in luce perchè diventino terreno di riflessione, di discussione costruttiva.
L’indipendenza che Gandini nella nostra intervista definisce come “distaccamento delle persone”, ha portato a grandi benefici ma a distanza di generazioni da quel manifesto, lo Stato deve fare i conti con una società, con individui che hanno difficiltà a socializzare, a stare insieme, un po’ guidati da “un’ossessione all’autosufficienza”, incapaci di conoscere il calore umano che lega le persone e che è alla base dei rapporti interpersonali. La Svezia è il paese con il maggior numero di persone che abitano da sole e che purtroppo muoiono sole, dimenticate come mostra una delle sequenze più forti del documetario quando due assistenti sociali entrano nell’abitazione di un uomo deceduto due anni prima e rimasto in casa senza che nessuno se ne accorgesse.
Il regista italo svedese mostra questi labirinti scuri di solitudini con abitazioni per singoli, con donne che decidono di diventare mamme attraverso l’inseminazione artificiale praticata comodamente nella propria stanza e migranti che affrontano il percorso di integrazione molto lungo e li contrappone ai santuari di calore (giovani che si rifugiano nei boschi per brevi periodi per ritrovare un contatto vero con la natura e i coietanei; un contatto fatto di piccoli gesti: toccarsi, guardarsi degli occhi, sorridersi), a un medico svedese rifugiatosi in Etiopia dove pratica la professione con mezzi molto artigianali in una società dove “nessuno muore da solo”.
Ispiratore, presente nel doc, il sociologo Zygmunt Bauman che parla di interdipendenza e di quanto la felicità nasca spesso combattendo i problemi.
Il regista ci svela molto anche sul lavoro di montaggio da film saggio e quale ruolo debba avere nel film la musica.

giovanna barreca