L’intrusa è a Cannes: l’intervista a Di Costanzo

"Il problema dell’inclusione di quel che ci mette in pericolo", dice Leonardo Di Costanzo. Alla Quinzaine con l'opera seconda: lo abbiamo intervistato
Intervista a Leonardo di Costanzo, a cura di Emanuele Rauco

“Per L’intervallo molte questioni che mi ponevano riguardavano Napoli, qui nessuna domanda sulla città: la storia è universale”. Parola di Leonardo Di Costanzo, che porta alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes 2017 l’opera seconda L’intrusa.

Nel film, che verrà distribuito da Cinema srl, Giovanna (la coreografa e danzatrice Raffaella Giordano) è la fondatrice del centro “la Masseria” a Napoli: le mamme del quartiere  ci portano i bambini per sottrarli al degrado e alle logiche mafiose ed immergerli  nella creatività e nel gioco. In quest’oasi cerca rifugio e ospitalità Maria, giovanissima moglie di un killer arrestato per l’omicidio di un innocente. Maria ha due figli. Per le altre mamme è il male incarnato.  Ma la scelta di Giovanna è più difficile. Chi ha bisogno di più aiuto?

Interpretato da Raffaella Giordano, dall’esordiente Valentina Vannino nel ruolo di Maria e il musicista performer Marcello Fonte, scritto da  Leonardo Di Costanzo, Maurizio Braucci, Bruno Oliviero, “non è un film sulla camorra, ma con la camorra: non si deve andare frontalmente per capire i fenomeni, è meglio guardare a fianco, anche nei miei doc ho sempre raccontato – dice Di Costanzo – a fianco, qui ho scelto di vivere con coloro che si battono e contendono alla camorra uomini e territorio”. E su Napoli: “Cerco sempre di guardare Napoli come luogo in cui accadono drammi che riguardano l’umano, mi serve la sua particolarità per accedere all’universalità. Cerco di usare la città senza farmi usare”.

Sui membri della Masseria e chi come loro assiste marginali e svantaggiati nel sociale, il regista precisa: “Queste persone affrontano quotidianamente dilemmi morali, sono in continuo contato con il mondo del bisogno, dei cattivi che devono cercare di recuperare. Non ci sono categorie rigide, quali magistratura o istituzioni, qui”.

Tema fondamentale de L’intrusa è “il problema dell’inclusione di quel che noi percepiamo come cattivo, che ci mette in pericolo, ed è un tema dei nostri tempi”. Vale a dire, “che cosa scaturisce quando qualcuno percepito come pericolo arriva nel gruppo del bene, qui chi è il male? Le mamme o il preside? Si cerca di salvaguardare il gruppo, hanno tutti ragione, Giovanna non sa se Maria si sta redimendo, perché Maria non sa chiedere, pretende”.

Venendo appunto alle due interpreti, la Giordano definisce la propria prova “bella e aspra, su un crinale stretto. Mi sembrava inevitabile fare come Giovanna, mi veniva naturale, sono istintiva. Lì il bene e il male non esistono più, si deve tenere in piedi accoglienza, e come sensazione interiore mi sembrava di stare in piedi nel deserto, con un fuoco espanso interiormente”. Viceversa, Valentina Vannino parla di “panico totale, poi mi sono sciolta con l’aiuto dei ragazzi”. “Sono questi personaggi – interviene Di Costanzo – molto vicini alla loro vita, ma non la loro vita. Non potrei fare questo lavoro sulla vera storia di Valentina o Raffaella, al contrario, chiedo loro di raccontare se stesse in un altro corpo, è un modo per proteggersi”.

Basato su “battute scritte e improvvisazione controllata all’interno di uno schema, un quadro determinato in fase di preparazione”, L’intrusa ha “essenzialità di racconto e regia, è diverso da L’intervallo, ha molte meno inquadrature, e ogni scena un punto di vista preciso, la posizione della macchina da presa è morale” ed è una “storia corale, tanti personaggi con pochissime occasioni per potersi raccontare, tanto da affidare al corpo, alla faccia – da qui la scelta degli attori – grande importanza”.

Federico Pontiggia