Dopo la guerra, il terrorismo sbarca a Cannes: le interviste

"Non bisogna abituarsi alla violenza", dice la regista Annarita Zambrano. Che porta al Certain Regard di Cannes 2017 l'esordio alla finzione: l'abbiamo intervistata assieme a Barbora Bobulova
Intervista ad Annarita Zambrano, a cura di Emanuele Rauco
Intervista a Barbora Bobulova, a cura di Emanuele Rauco

“Il film ha sicuramente un fondo politico, ed è ovvio che un film per essere tale debba entrare nelle coscienze collettive”. Parola di Annarita Zambrano, già cortista con A la lune montante (2009) e Tre ore (2010) e documentarista con L’anima del gattopardo (2014), che esordisce la lungometraggio di finzione con Dopo la guerra, in cartellone al Certain Regard di Cannes.

Nel film torniamo nel 2002 a Bologna: le proteste per la riforma del lavoro divampano all’università, e un giudice – il riferimento al giuslavorista Marco Biagi non è casuale – viene assassinato. La responsabilità politica viene attribuita a Marco (Giuseppe Battiston), un militante di estrema sinistra condannato per omicidio e riparato in Francia da 20 anni in virtù della Dottrina Mitterand, concernente il diritto d’asilo e rimasta in vigore dal 1985 al 2003. Quando il governo italiano ne chiede l’estradizione, Marco deve fuggire insieme alla figlia 16enne Viola (Charlotte Cétaire)…

Nel cast anche Barbora Bobulova, nella parte della sorella di Marco che vive a Bologna con marito giudice e figlia piccola, “l’idea – dice la Zambrano – era quella di fare un film che riapriva una riflessione sulla nota dottrina Mitterand, poi con l’omicidio di Marco Biagi l’Italia si è ricordata che qualcuno andava recuperato”.

“Certo, un colpevole è sempre tale. Ma queste persone si sono fatte famiglie francesi, e il fatto che la dottrina Mitterand non fosse legge, ma parola “orale” ha lasciato queste persone appese a un filo. La mia è una riflessione sulla colpa umana e colpa politica, con una domanda: una persona resta colpevole anche dopo 20 anni? Volevo indagare”, precisa la Zambrando. E sconfessa ogni apparentamento tra il Marco di Battiston e Cesare Battisti: “Assolutamente no. Ho tratto ispirazione da una serie di incontri personali, e ho letto molto. A un certo punto, il personaggio doveva nascere e camminare da solo, senno sarebbe rimasto una macchietta”.

Il film si apre con una scena di contestazione all’università di Bologna che, prosegue la regista, “ti mette in un’aria di “reminiscenza” di quegli anni. Questi studenti poi saranno presi in ostaggio dalla violenza, ma contestare non vuol dire uccidere: ricordo come una generazione è stata presa in ostaggio”.

Coprodotto da Mario Mazzarotto ed Emanuele Nespeca per Movimento Film, distribuito da I Wonder Pictures il prossimo autunno, Dopo la guerra parla di terrorismo e percezione del terrorismo: “Riconosco un parallelismo tra l’Italia di quei tempi e la Francia di oggi, perché quando la violenza si banalizza, nel senso che al quarto, quinto, sesto attentato la gente si chiede: “Ah sì, dove è stato?”, quello è il peggior pericolo. Penso che i francesi – la Zambrano vive a Parigi, NdR – stiano affrontato le cose bene, continuando ad uscire nutriti da un certo fatalismo, però non bisogna abituarsi alla violenza”.

Infine, sul suo doppio passaporto creativo, la Zambrano conclude: “Ho iniziato a fare i miei primi film in Francia, il mio modo girare è più francese, però posso dire che il mio primo lungo è italiano. In ogni caso, un regista deve raccontare ciò che abbiamo dentro, ciò che ci ha ferito e quindi formato, la nostra identità.  Io voglio fare film in Italia, però alla Francia devo quasi tutto perché mi ha insegnato a non chiedere l’elemosina, ad avere una dignità d’autore”.

Federico Pontiggia