Quello che so di lei

Quello che so di lei (Sage femme) risponde a un’esigenza produttiva ben precisa e molto chiara almeno in Europa (molto meno in Italia): un film medio capace di interessare e di far immedesimare il pubblico femminile mediamente colto, soprattutto di mezza età. In questo senso, il nuovo film di Martin Provost, in concorso alla 67° Berlinale è riuscito.

Racconta infatti dell’incontro tra due donne Claire, ostetrica (da cui il titolo del film, che è anche un gioco di parole con donna saggia) solitaria e un po’ fredda, e Béatrice, una donna energica e piena di vita che è stata la donna del padre di Claire e che aveva sostituito la madre prima di sparire, 30 anni prima. Ora è malata e vorrebbe riallacciare i fili del proprio passato.

Scritto dal regista, Quello che so di lei è un dramma leggero e soprattutto un ritratto femminile tra maternità perdute e figli non voluti.

Soprattutto il tema portante del film di Provost è lo scontro tra la voglia di vivere di una donna destinata alla morte e l’incapacità di godersi la vita di una donna che aiuta le donne a partorire: ossimori da manuale di sceneggiatura che ovviamente daranno vita a ribaltamenti e prese di coscienza varie (soprattutto grazie al bel personaggio di Olivier Gourmet). Tutto ciò che un film solido e pensato per un preciso deve fare anche a costo di scontrarsi con più di un luogo comune o banalità descrittiva.

Anche perché al netto di tutto ciò che abbiamo già visto e sentito in Sage femme, il film ha due indubbi motivi per farsi vedere e sono di certo i punti forti su cui Provost e la produzione giocano per il successo del film: Catherine Frot e Catherine Deneuve, che anche dentro personaggi spesso oltre il limite dello stereotipo sanno regalare sfumature, gesti, piccolissimi saggi di bravura. Basterebbe guardare la sequenza delle diapositive per averne la prova e per cercare di capire un film che non brilla mai ma sa perfettamente a chi rivolgersi e come parlargli.

Emanuele Rauco per cinematografo.it