Wonder Woman

47 metri di Johannes Roberts, regista di genere che ha già dimostrato di saper fare della tensione mista al sangue una formula cinematografica vincente, vive di una propria identità.

Già questo restituisce respiro a un genere sempre più strangolato dal mercato del rifacimento, da sequel, prequel e spin-off. Ma quando il film in questione è uno shark movie, quanto sopra diviene una vera e propria nota di merito.

A far da cornice alla terrificante avventura marina sono questa volta le acque messicane dove, in mare aperto, due sorelle, Lisa (Mandy Moore) e Kate (Claire Holt) si troveranno a tu per tu con gli squali. Ad accrescere la fase ansiogena, la limitata scorta di ossigeno e le ferite che richiamano i predatori affamati.

Se la trama può rievocare, a tratti, l’ottimo Open Water di Chris Kentis, l’elemento della gabbia antisqualo precipitata sul fondale non conosce rimandi.

Nonostante citazioni e omaggi ad altri titoli muniti di pinna caudale (tra cui il nostro L’ultimo squalo di Castellari), la sceneggiatura, dello stesso Roberts coadiuvato da Ernest Riera, mira a rendere gli squali un elemento marginale.

Il vero nemico è l’abisso (da cui i 47 metri del titolo), il buio. Il protagonista il legame consanguineo. In un’imprevedibile inversione di ruoli, tra apparizioni spaventose dei mostri marini (veri alcuni) e tentativi di salvataggio privi di lieto fine, in soli 90’ trova spazio un duplice finale che, oltre alle protagoniste, non sembra voler far riemergere neppure lo spettatore da un incubo che lo costringerà a una lunga apnea.

Sempre tentando un confronto, se nel film di Kentis era la tensione generata dal rapporto di coppia la causa della tragica esperienza, qui è il legame di sangue l’unico a sopravvivere in un continuo alternarsi di tensione e paura mista a profondo affetto e altruismo.

Da notare, nel cast, tra i pochi altri, anche la guest star Matthew Modine. Un film che potrà segnare le vostre notti d’estate in riva al mare.

Nico Parente per cinematografo.it