Io danzerò

Lady Macbeth,  opera prima di William Oldroyd, contrariamente al titolo non si ispira (almeno non direttamente) alla tragedia scespiriana bensì al romanzo russo di Leskov, ed è un muscolare capolavoro di cattiveria al femminile: ovvero, freddo pamphlet su come si diventa una dark lady.

Nella campagna inglese di fine diciannovesimo secolo, Katherine viene letteralmente venduta non ancora maggiorenne al figlio di un uomo di mezza età. Senza amore, senza un vero marito, senza famiglia, oppressa da obblighi coniugali ostacolati dalla mancanza di desiderio del brusco consorte, la ragazza subisce in silenzio, ma dopo essere stata iniziata alle delizie del sesso da uno stalliere, quando la sua passione si tramuterà in amore, disperato e spietato, troverà la forza per reagire e anzi ergersi al di sopra di tutto. È allora che sembra immergersi nella natura selvaggia che la circonda e rinascere come spietata lady Vendetta, quando sarà un florilegio di violenza e omicidi.

Lady Macbeth si apre e si chiude sullo sguardo della splendida protagonista Florence Pugh: all’inizio, in un incipit lieve e sommesso, è uno sguardo semi nascosto da un leggero velo da sposa, con il viso a tre quarti, con un primo piano sfuggente. Alla fine, un inesorabile carrello in avanti sottolinea uno sguardo dritto in camera, teso e come raggelato non si sa bene se da rabbia cieca, dal dolore o nel dolore. Oldroyd non sembra interessato tanto alle ramificazioni o alle motivazioni psicologiche degli sfumati margini che dividono giusto e sbagliato: piuttosto inquadra la crescita di una ragazza al negativo, la vira in nero, inseguendo quell’istante quando da vittima si diventa carnefici.
Crea quindi abilmente un’atmosfera di morbosa, claustrofobica tensione giocando con un cromatismo emotivo evocato dal paesaggio, assimilando le emozioni agli elementi (quando Katherine esce nella campagna calpesta la terra, respira l’aria, guarda il mare).

Il mare diventa burrasca, il cielo promette tempesta, il terreno è spazzato dal vento: allo stesso modo, senza parole, i due amanti clandestini si amano in silenzio, la domestica che sapeva troppo si chiude in un ostinato bergmaniano silenzio, la morte scende lenta e senza far rumore dietro una porta chiusa. Lady Macbeth non è, come potrebbe sembrare, amour fou: è istinto radicalizzato, è passione bestiale, è lo scavo in quel nucleo oscuro e ribollente che schiuma all’interno di ognuno di noi, pronto a balzare fuori e azzannare alla gola.

Gianlorenzo Franzì per cinematografo.it