#TFF37-Nour: no all’indifferenza, torniamo umani

Maurizio Zaccaro presenta Nour al Torino film festival, chiedendo all’attore Pietro Castellitto di evocare la figura di Pietro Bartolo, il medico che da 30 anni salva vite a Lampedusa e che nel film la restituisce a una piccola bambina siriana. La nostra intervista in esclusiva al regista e a Pietro Bartolo.
Intervista a Pietro Bartolo a cura di Giovanna Barreca

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La stretta attualità della cronaca incombe anche la mattina del nostro incontro col medico Pietro Bartolo e il regista Maurizio Zaccaro che, al Torino film festival, presentano il film Nour. Se l’opera di finzione racconta la vicenda di una piccola bambina siriana giunta sulle nostra coste da sola che viene soccorsa e accudita dal medico di Lampedusa, il primo a prestare i primi aiuti, la cronaca racconta di nuovi sbarchi e di tanti, troppi morti ancora in mare; tanti altri piccoli e grandi uomini e donne che non sono sopravvissuti.
Nel film Sergio Castellitto è Pietro Bartolo in quello che non vuole essere un biopic sul dottore che da trent’anni opera a Lampedusa e che ha incontrato oltre 350.000 persone appena sbarcate sulle nostre Coste e forse ha eseguito, tristissimo primato, il maggior numero di ispezioni cadaveriche nel mondo ma, come precisa ai nostri microfoni anche il regista: “Ho chiesto a Sergio di non rappresentare Pietro ma di evocarlo perchè, se l’attore interpreta recita, se evoca è. Questa scelta si colloca sulla linea invisibile tra vero e verosimile e noi ci siamo collocati proprio su tale linea. Abbiamo lavorato sul verosimile della messa in scena”.
Non si potevano raccontare tutti gli incontri di una vita ma Zaccaro ascolta Bartolo durante lunghe conversazioni a due, prende spunto da Lacrime di sale e da Le stelle di Lampedusa, i due libri scritti dal medico e mette in scena la vicenda di uno sbarco. Uno dei tanti, uno con morti e sopravvissuti. Muore a soli 5 anni con indosso ancora i suoi pantaloncini rossi un bambino e il padre sopravvive senza riuscire ad accettare quanto è accaduto. Arriva una donna incinta, arriva una giovane dall’aspetto regale, arriva uno scafista. Arriva anche una bambina dai lunghi capelli ricci neri che non parla e non sembra accompagnata da un adulto. Scopriremo che si chiama Nour e il dottore farà di tutto per salvare la sua infanzia e restituirle la sua famiglia.
Bartoli ai nostri microfoni spiega che il doc Fuocoammare di Gianfranco Rosi e questo nuovo film di finzione di Zaccaro sfruttano la potenza del mezzo cinematografico per raccontare delle persone che arrivano in Italia, in cerca di una vita migliore. E precisa: “Volevo che il mondo sapesse di queste persone che oggi vengono chiamati flussi ma sono delle persone che sono nate in quella che il mondo chiama la parte sbagliata, il continente africano che è uno dei più ricchi ma che noi abbiamo portato alla fame”.
E conclude con un’esortazione potentissima nella sua semplicità: “Credo che oggi sia fondamentale ritrovare la strada dell’umanità. Si può stare insieme, si può stare”.

Nella nostra intervista il regista, collaboratore di Ermanno Olmi – al quale dedica il film -, ci svela anche la scelta etico-stilistica che sta dietro alla scena più drammatica del film. E poi di come ci sia la volontà di far guardare, nello stesso specchio dell’indifferenza, la piccola Nour e la coetanea Czeslawa Kwoka, internata e uccisa ad Auschwitz.

giovanna barreca