Rabbit Hole

16/02/11 - Il lutto e la sua elaborazione in un’opera curiosamente misurata dell' "eccessivo" John Cameron Mitchell...

Il lutto e la sua elaborazione in un’opera curiosamente misurata di uno dei più eccessivi dell’ultima generazione di autori USA

16/02/11 – A quattro anni dall’ultima, eccellente prova registica di John Cameron Mitchell, Short Bus, arriva nelle sale Rabbit Hole, già presentato in concorso al Festival del Film di Roma 2010 e ben accolto da critica e pubblico. Si parla molto soprattutto della lontananza di stile e toni che caratterizza questo struggente e raccolto dramma familiare rispetto all’esuberanza pop, anarcoide e visionaria dei titoli precedenti di Mitchell, irresistibile icona gay capace di muoversi tra l’improvvisazione hardcore del citato Short Bus e l’estetismo drag dello sfrenato esordio alla regia Hedwig (2001), musical glam rock onirico, provocatorio e genialoide quanto caotico e sopra le righe, di cui Mitchell è anche indimenticabile protagonista, nei panni di un improbabile trans (semioperato) alla Wayne County proveniente da Berlino Est e deciso a vendicarsi su un giovane ladro d’identità (sessuale e artistica). E la distanza di registro dalla precedente produzione dell’artista texano è sicuramente un elemento evidente in questo Rabbit Hole, complesso dramma da camera (o quasi) molto giocato su toni sfumati, personaggi a tre dimensioni, realismo della messa in scena, psicologismo classico. Certamente due elementi hanno contribuito a questa sorta di svolta, che vedremo col senno di poi se si sarà trattato di un nuovo corso quanto piuttosto di uno scarto: il primo elemento sta nell’effettiva delicatezza e rischiosità del tema, ovvero l’elaborazione del lutto da parte di due genitori che hanno perso un figlio di quattro anni in un incidente. Il secondo, nella natura su commissione dello script (negli altri suoi lavori Mitchell è stato sempre anche autore), adattato per lo schermo da David Lindsay-Abaire, autore della pièce originale vincitrice del premio Pulitzer.

Certamente qualche zampata qua e là si intravvede, in alcune notazioni di costume divertite, in piccoli momenti di humor amaro, in leggere canzonature di riti piccolo-borghesi o nella cauta parodia del gruppo di ascolto che la coppia di protagonisti tenta di frequentare per un certo periodo. Per il resto, Mitchell si limita (per modo di dire) a una direzione misurata degli attori (eccellente la prova di Aaron Eckhart, mentre purtroppo in parte inquinata da eccessi di botox quella della Kidman… almeno per il sottoscritto, che ha passato i primi dieci minuti di film a fissare le nuove labbra “a canotto” dell’attrice australiana) e a una grande cura nei dettagli e verso i personaggi di contorno, ognuno con una sua precisa ed efficace funzione. Un lavoro intelligente, corretto, intenso, anche coinvolgente a tratti. Forse una dimostrazione di eclettismo per il regista, di gusto e sensibilità nell’evitare deviazioni da un obbligo di moderazione. Anche i picchi emotivi sono ben dosati e alla fine tutto torna come in un tema svolto con diligenza e serietà: il progressivo svelarsi della diversa forma di elaborazione del lutto nei due personaggi, gli incontri sospesi e intensi tra la protagonista e il ragazzo adolescente responsabile della morte di suo figlio, il riavvicinamento della stessa protagonista con la propria madre, donna semplice e solo apparentemente incapace di comprendere un dolore che ha lei stessa provato, i goffi tentativi di consolazione da parte del padre, tra incontri clandestini, scatti d’ira e ossessioni conservatrici …

Insomma, tutto al posto giusto, nei toni giusti, nei momenti giusti. Senza sbavatura alcuna. Sarà per questo che alla fine della proiezione può capitare di essere pervasi da un sottile senso di artificio e insincerità?

GIORDANO DE LUCA

Titolo originale: Rabbit Hole
Produzione: USA 2010
Regia: John Cameron Mitchell
Cast: Nicole Kidman, Aaron Eckhart, Dianne Wiest, Tammy Blanchard, Miles Teller
Durata: 90′
Genere: drammatico
Distribuzione: Videa – CDE
Data di uscita: 11 febbraio 2011

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