Boris – Il film

29/03/11 - Dopo il successo tv, il serial diventa pellicola. Pannofino, Sermonti & company sono alle prese con il mondo del cinema. Sarà comunque un trionfo?

Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ad alcuni degli ospiti del Festival del cinema europeo:

  • l’attore Francesco Pannofino
  • l’attrice Carolina Crescentini
  • il regista Giacomo Ciarrapico
  • l’attore Pietro Sermonti
  • Scritto e diretto da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, Boris – Il film è uno degli eventi più attesi della stagione cinematografica italiana, visto l’enorme successo ottenuto dalla serie (arrivata a tre stagioni) e la semplice constatazione che alcuni tormentoni sono entrati nell’uso comune come non accadeva a nessun evento mediatico (cinematografico e/o televisivo) da anni. Qui il regista Renè Ferretti (Francesco Pannofino) prova a lanciarsi nella sfida di abbandonare la TV per dirigere un film, scontrandosi perciò con magagne e ipocrisie di quel mondo.

    Sarà la troppa attesa, fatto sta che la visione di Boris ha fatto emergere più di un dubbio. Innanzitutto si ha l’impressione che alcuni snodi narrativi siano stati superati dagli eventi: in particolare viene in mente la messa alla berlina del cinepanettone, identificato dagli autori come il più temibile e il principale “nemico” del nostro cinema. Ma, per l’appunto, i film natalizi di De Laurentiis sono entrati ufficialmente in crisi nell’ultimo anno, sorpassati da tutta una serie di altre commedie (da Benvenuti al Sud a Checco Zalone), in cui la tanto deprecata volgarità non è più l’elemento centrale del discorso. Quel cinema “cinepanettonesco” viene ormai denigrato da tutti fino a dare l’impressione che gli addetti ai lavori si stiano accanendo su un modello ormai sconfitto.

    Ma, più in generale, in Boris si può e si deve constatare un problema strutturale: gag e situazioni adatte alla durata di una puntata TV (circa venti minuti) non reggono il tempo cinematografico. Assistiamo a un accumulo di situazioni, spesso anche spassose (su tutte la scimmia presentata come quinto dirigente della Medusa), ma in cui sfugge l’unità del discorso. Da un lato è percepibile la necessità e la forzatura di far ritornare tutti i personaggi storici della fiction, dall’altro non si rinuncia a ripresentare una serie di tormentoni (a partire dal “bucio de culo” di MartelloneMassimiliano Bruno) senza riuscire però a integrarli in un coerente racconto cinematografico. Valga da esempio la pur divertente sequenza dell’Oscar “conquistato” a Nicola Piovani: la scena viene presentata come una arbitraria estrapolazione completamente estranea al contesto, secondo una modalità tipica delle sit-com.

    Il problema, che si intuiva già nell’ultima stagione TV, va trovato probabilmente nella costruzione dei personaggi: tutti, dal Renè di Pannofino allo Stanis di Sermonti, sono delle macchiette, dei voluti e azzeccatissimi contro-stereotipi, delle maschere, incapaci però di “aprirsi” a qualcosa d’altro, a dei chiaroscuri caratteriali che sarebbero stati senz’altro utili in sede cinematografica. Se in tal senso il richiamo più evidente in questa annata lo si può ritrovare in Qualunquemente con Antonio Albanese, bisogna però dire che lì la farsa aveva una dimensione ghignante e tragica che qui manca. In Boris – è vero – la risata è sempre in funzione della dissacrazione dei costumi, una dissacrazione legata però al particolare, al piccolo vizio, incapace di farsi discorso e metafora dell’Italia contemporanea.

    ALESSANDRO ANIBALLI

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