Flussi seriali

28/04/11 - Mildred Pierce: seconda parte dello speciale sulla miniserie con Kate Winslet che fa della stilizzazione del melò una chiave di lettura degli anni Quaranta.

Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti

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flussi-serialiL’adattamento al cinema dei romanzi di James M. Cain ha prodotto almeno due capolavori come La fiamma del peccato e Ossessione (e uno dei più brutti film della storia del cinema, quel Butterfly del 1982 che vedeva protagonista l’imbarazzante Pia Zadora insieme ad un moribondo Orson Welles in un tripudio di kitsch e fetish davvero fuori dal comune). Forse perché in mano a valenti autori come Billy Wilder o Luchino Visconti qualsiasi materiale narrativo brilla come una gemma, eppure mestieranti di alto lignaggio come Michael Curtiz con Mildred Pierce e Tay Garnett o un arrabbiato e sottovalutato Bob Rafelson con due differenti versioni de Il postino suona sempre due volte hanno prodotto immagini che tengono ancora desto il fascino della memoria cinefila. Ma certo non è tutto merito della settima arte perché Cain, autore di un’America sporca e desolata, il cinema lo conosceva bene avendo lavorato come dialoghista negli anni Trenta. E i suoi romanzi sono molto filmici sia per estetica di ambienti che tematiche narratologiche poiché intrisi di quell’asciuttezza che solo il cinema può concedere.

Tornando a parlare di Mildred Pierce, viene in mente che Todd Haynes compie la medesima operazione fatta con Lontano dal Paradiso dove si ritrovava la rielaborazione del cinema di tessuto sirkiano, intriso della sua esasperata stilizzazione fatta di eccessi cromatici. Qui il lavoro referenziale per quanto ovvio si rivela più pacato rispetto a quello precedente del regista californiano sia a causa di alcune scelte commerciali e sia per la privazione all’interno della pellicola dell’aspetto noir (nel caso si sarebbe dovuto scegliere il bianco e nero e, se proprio volessimo cavillare, la sfera sessuale sarebbe dovuta essere sì torrida, ma affidata più all’aspetto psicologico che visivo). Eppure alla fin fine risulta più criptico e dietro tutto quanto c’è una scelta estetica precisa. Nulla è dettato dal caso; infatti Haynes sì cita i melodrammi della Warner degli anni Quaranta nella loro pura accezione narratologica (dove c’era sempre il bianco e nero), ma per quanto riguarda l’aspetto estetico aggiungendo il colore manipola volutamente il raffronto con quello narrativo attraverso gli eccessi iconografici dietro i quali troviamo un omaggio a Femmina folle di John M. Stahl. Nelle ultime due puntate infatti la miniserie abbandona l’aspetto psicologico da feuilleton delle produzioni Warner per introdurre le tinte del melodramma barocco in pure stile Fox. A tratti ne sintetizza anche gli elementi kitsch, in particolare attraverso il personaggio di Veda, la conseguente recitazione della sua interprete Evan Rachel Wood, che sceglie di caricarlo fino all’inverosimile nel suo cinismo (in questo molto simile a quella di Gene Tierney in Femmina folle come dicevamo la volta scorsa), l’uso massiccio della musica lirica e di una scenografia grondante marmi e drappeggi. E il pregio di Haynes sta ancora una volta in quello di affidarsi agli elementi della confezione (quindi esterni) per sancire i suoi discorsi di metalinguaggio e citazionismo (e arrivare all’interno della struttura). In particolare con la fotografia del fido Ed Lachman (se il rosso di Secondo amore era il colore di Lontano dal paradiso, il verde di Femmina folle lo è di Mildred Pierce) propenso a cogliere il colore delle stagioni morali e sociali dell’America attraverso le sue immagini filmiche, e la colonna sonora scritta da Carter Burwell (nella scuderia tecnica dei fratelli Coen) nell’apostrofare i suoni di quel cinema.

Basti pensare alla definizione che Alberto Pezzotta fa del melodramma come uno dei più contaminati e completi fra i generi – “La nozione del melodramma è sfumata e incerta: più che essere un genere, il melodramma attraversa i generi al limite identificandosi con l’intero cinema” – per capire l’importanza del lavoro di Todd Haynes. A conti fatti Mildred Pierce si rivela, secondo questa definizione, una buona operazione che regge i tempi del cinema nonostante si trovi all’interno di una cornice tempistica dilatata con una durata complessiva di cinque ore e mezzo circa. E qui la linea sottile fra cinema e televisione diventa definitivamente inesistente (non a caso i titoli di testa recitano “a film by Todd Haynes”) sia dentro che fuori (tutte le maestranze sono di formazione cinematografica) dalla sfera scenica. Eppure, ahimè, la magia di quei film a cui fa riferimento sfugge, ma Mildred Pierce è già pronta a raccogliere una carrettata di Osc… oops Emmy, lapsus freudiano!

Regia: Todd Haynes
Cast: Kate Winslet, Guy Pearce, Evan Rachel Wood, Brian F. O’Byrne, Melissa Leo, James LeGros, Mare Winningham, Hope Davis
Produzione: USA 2011
Durata: 4 episodi da 60’, 1 da 80’
Distribuzione originale: HBO (27 marzo, 3/10 aprile 2011)