E ora parliamo di Kevin

07/02/12 - Senza nessuna retorica la regista Lynne Ramsay dirige Tilda Swinton e John C. Reilly affrontando un tema difficile e controverso.

Dalla nostra inviata Lia Colucci

Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:

  • …E ora parliamo di Kevin
  • Un tema scabroso e scottante toccato con delicatezza poetica senza la logica polemica e dissacratoria del Michael Moore di Bowling a Columbine. Si tratta del felice incontro della regista Lynne Ramsay e dell’attrice Tilda Swinton che ci regalano …E ora parliamo di Kevin – già in concorso al Festival di Cannes e ora in uscita in sala – un film intenso e toccante i cui toni da tragedia greca ben si accostano alla modernità della vicenda. Niente di scontato, nessun psicologismo, nessuna inutile domanda sulla società contemporanea: la realtà e lì dove la aspetti e anche quando ti distrugge rimane nei ricordi, ricordi incancellabili che persistono anche quando hai perso tutto e non riesci neanche a capire il perché. Questa è la storia di Eva sposata con Franklin (John C. Reilly impagabile nella parte del marito-padre semplicione che pagherà cara la sua dabbenaggine) e con due figli a carico tra cui il ribelle Kevin (Ezra Miller).

    Difficile ruolo quello di Eva soprattutto con Kevin che si dimostra testardo e insofferente all’autorità sin dai primissimi anni, tanto che la protagonista finisce col perdere il contatto con la realtà o essere preda di struggenti avvilimenti di fronte al sadismo che è classico dei bambini, ma che in Kevin è un segno distintivo. Frank continua a glissare con il suo atteggiamento di maschio facilone, e non legge i segni premonitori anche quando per una svista del figlio maggiore la più piccola perderà un occhio. Piccoli dettagli che troveranno una loro cornice alla fine e all’inizio del film. Infatti la pellicola comincia quando la vita di Eva è stata distrutta e noi seguiamo insieme a lei i suoi ricordi che la riconducono in un penitenziario minorile dove lo sfottente figlio la attende per una seduta in completo silenzio. Ma non assistiamo a nessuna forma di incomunicabilità: in quel silenzio c’è la complicità di chi è consapevole che le parole sono inutili di fronte ai fatti compiuti. Così come in una favola tragicamente raccontata si spengono le luci su Kevin che un giorno qualunque va a scuola e la trasforma in un luogo di morte. Atroce epilogo che la regista riesce a trasformare, con la sua visionarietà, in una storia dalle immagini accecanti, crude e prive di qualsiasi retorica.

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