Il ragazzo con la bicicletta

15/05/11 - In concorso, i Dardenne giocano con un simbolismo elementare ed efficace per la storia di un giovane in cerca dell'affetto del padre.

Dalla nostra inviata Giovanna Barreca

Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:

  • Il ragazzo con la bicicletta
  • Ricordate come in Noi credevamo la musica desse un ritmo ai quattro atti del film di Mario Martone? I Dardenne usano la musica per scandire i 3 stati d’animo del protagonista: dalla finta accettazione, alla rabbia furiosa, alla pace. Un bambino vuole ritrovare il padre che lo ha abbandonato e s’imbatte in una donna gentile che accetta di tenerlo il fine settimana e poi di occuparsene anche se i due non sono legati da nessun legame di sangue. All’inizio appare come la vicenda dolorosa di un ragazzino non voluto e confessiamo di aver pensato di essere finiti in un dramma simile – soprattutto dopo le scene violente della colluttazione e della giostra – a quello di We need to talk about Kevin di Lynne Ramsay dove l’ottima Tilda Swinton è la madre di un bambino che riversa su di lei tutta la sua rabbia e tutto il suo amore, fino a creare un rapporto di dipendenza imprescindibile da tutto: resterà accanto all’ormai adolescente anche dopo la strage famigliare e sociale che compie. Ma pur essendo, quello del giovane Thomas uno sguardo freddo (ma non glaciale), la ricerca di attenzione, la descrizione della sua rabbia erano così diversamente calibrate che è stato intuibile dopo poco che sfociassero in una richiesta d’aiuto e non in un’enfatizzazione del male. Infatti la sua è una ricerca d’amore intensa. Pur di riceverlo dal padre arriva a rubare una sostanziosa somma di denaro. Il loro rapporto si consuma tutto nella cucina dell’uomo dove il suono alto della musica gli impedisce qualsiasi accesso sia fisico – di semplice comunicazione – e soprattutto emotivo. Ma dietro quella porta ad aspettarlo c’è ancora la donna e la sua ricerca di contatto attraverso la bellezza e soprattutto la semplicità di gesti quotidiani: la spesa, la condivisione di un pasto, un giro in bicicletta. Passo dopo passo.

    Da sempre amatissimi perché capaci di scelte linguistiche personali e originali, sia nella stesura dei testi che poi nella messa in scena, in questo film i fratelli Dardenne giocano con un simbolismo elementare ed efficace anche perché ritroviamo come direttore della fotografia il fidato Alain Marcoe: un gioco con la luce e con il buio, con i luoghi chiusi e claustrofobici come con quelli aperti e ricchi di luce con tonalità pittoriche dense, accompagnate dalla musica classica di Beethoveen. Quindi nuove tonalità coadiuvate da una scrittura sempre meticolosa – che non lascia al caso nessun passaggio nella scrittura soprattutto dei dialoghi – per i due registi che tornano sulla Croiesette dopo aver vinto la Palma d’oro per Rosetta (1999) e L’enfant nel 2005. Un viaggio con squarci forti che emozionano, coinvolgono e chiamano in causa lo spettatore più volte anche attraverso le tre figure ‘familiari’ che appaiono sullo sfondo. Il film sarà nelle sale italiane dalla prossima settimana con Lucky Red.

    Nota di cronaca. Entrambe le proiezioni serali per la stampa strappano un lungo e ripetuto applauso – prima e dopo i titoli di coda. In contemporanea alla seconda proiezione di Le gamin au velo, in un’altra sala del Palais si svolgeva la terza proiezione, ancora solo per gli accreditati, di Habemus Papam di Nanni Moretti per la cui visione, già un’ora prima, era stata raggiunta la capienza massima della sala.

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