The Tree of Life

16/05/11 - Atteso da un anno, arriva il film con Pitt e Penn del filosofo Malick. Giudizi discordanti sulla metafisica del regista accolta con applausi e fischi.

Dalla nostra inviata Lia Colucci

Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:

  • The Tree of Life
  • Grande fermento sulla Croisette probabilmente per il film più atteso del Festival di Cannes 64, The Tree of life, la folla dei giornalisti era così nutrita che l’organizzazione della kermesse si è vista costretta ad aprire un’ulteriore sala, oltre a quella Lumière che generalmente ospita i grandi eventi. Ma oggi non era un giorno come un altro, andava in scena Terrence Malick uno dei grandi maestri del cinema ancora viventi, una leggenda che mette in fila gratis le stelle di Hollywood o li trasforma in produttori pur di poter accedere ad un suo film, cosa che è successa a Brad Pitt e che l’attore ha ingenuamente, o saggiamente, ammesso nella conferenza stampa che seguiva la proiezione. Con Malick in concorso si fa direttamente un salto nella metafisica, nelle domande inarrivabili sulla genesi del mondo e su una sua ipotetica fine. A 12 anni da La sottile Linea Rossa , il cineasta riprende la voce fuori campo che ricerca Dio e il tormentato rapporto uomo-natura, mentre infarcisce il film di simboli poco spiegabili mentre mostra inalterata la bellezza della natura e delle sue creature che il regista propone in dosi massicce. Infatti, dopo essersi consultato con astronomi, biologi, naturalisti, assistiamo a vulcani in eruzione, pianeti e stelle, cascate e canyon: potrebbe quasi essere una puntata di National Geographic se non si trattasse del grande direttore di Badlands a cui quasi tutto è concesso. Ma anche la stampa internazionale conosce l’esasperazione che emerge quando due improbabili dinosauri attraversano lo schermo in un tripudio di boschi, foglie e musiche funerarie. Tutto sembra tornare al proprio posto all’apparire di uno sconcertato Sean Penn, nella parte del protagonista Jack O’Brien ormai cresciuto, sguardo annebbiato, espressione intensa, perduto tra i grattacieli di New York che rievoca la sua infanzia in Texas: il padre (Brad Pitt), la madre (Jessica Chastain), il fratello morto a 19 anni. E quindi si ricomincia con i monologhi fuori campo: il senso del dolore, l’amore che salva il mondo e, infine, il significato della morte. Immancabile il finale corale che sembra avvolgere tutto e redimere il mondo. Forse il regista, plurilaureato, tra cui spicca una predilezione per la Filosofia, è troppo sofisticato per il cinema? Probabilmente sì. Sicuramente lo è per Brad Pitt, che non regge il passo di una storia del genere, si limita a fare il padre di famiglia, un militare autoritario senza quel tocco tra il dannato o l’angelo immolato che hanno i protagonisti di Malick: da Martin Sheen a John Caviezel, passando per Sean Penn che era presente con Caviezel ne La Sottile Linea Rossa.

    Malick grande assente a Cannes viene scusato dai produttori Sarah Green, Bill Pohlad, Dede Gardner, Grant Hill che attribuiscono la latitanza alla sua timidezza: “In realtà il film era già pronto un anno fa, ma il Maestro non lo riteneva perfetto e cosi abbiamo aspettato”. Anche Brad è in duplice veste di produttore attore: ”Per me è un genio – dice Pitt – è stato un grande onore lavorare con lui. Da un microcosmo di famiglia texana è riuscito a ricreare un intero universo”. Peccato che la stampa internazionale, stufa dei vari onanismi, non la pensi come l’attore nato in Oklahoma e abbia cominciato a fischiare sonoramente ben prima della fine del film.

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