This Must Be the Place

20/05/11 – Dopo il caso Von Trier, si torna a parlare di nazismo col film in concorso di Paolo Sorrentino, accolto con applausi e lodi ad un eccezionale Sean Penn.

Dalla nostra inviata Giovanna Barreca

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Irlanda (Dublino), New Mexico, Michigan, Utah e scorci di Detroit nel road movie che ha portato Paolo Sorrentino a girare il suo primo film di respiro internazionale e che gli “permesso di girare negli States, luogo cinematografico per eccellenza” come dichiara durante la conferenza stampa che lo vede seduto accanto al suo attore protagonista, uno Sean Penn col quale è riuscito a tratteggiare il personaggio della rock star, Cheyenne – ispirato nell’aspetto fisico a Robert Smith, leader dei Cure – che parla in falsetto (vorremmo tanto che il film non venisse doppiato perché la voce dell’interprete e i suoi tempi attoriali sono il 40% del film), porta capelli lunghi, trucco pesante, unghie laccate e ha difficoltà a camminare tanto da girare sempre con un carrellino (che ad un certo punto si trasforma in valigia): un appoggio, un sostegno al suo male di vivere. “Abbiamo parlato molto della depressione e come questa incida sul fisico di qualcuno” dice Sean Penn per spiegare come sia nato il personaggio con tutte le sue caratteristiche così originali che sicuramente prendono spunto da persone reali ma, aggiunge Sorrentino: “Volevamo dei personaggi atipici, non comuni e con una parte eccezionale” che poi sono le stesse caratteristiche alla base della creazione dell’Andreotti de Il divo (ricordiamo che fu proprio il presidente di giuria Sean Penn che due anni fa vide e amò tanto il film del cineasta italiano da battersi perché ricevesse un importante riconoscimento; proprio in quell’occasione manifestò la sua volontà di lavorare con un “regista in grado di creare un cinema originale che sa ispirare” ribadisce stamane). Umberto Conterello, il co-sceneggiatore col regista – invece svela che il viaggio americano era argomento di tante chiacchierate degli ultimi anni e “quando Paolo mi ha iniziato a raccontare con poche parole la sua idea abbiamo iniziato al lavorarci come se fosse la cosa più semplice del mondo. L’essere riusciti ad avere una stessa voce è rimasto elemento primario del film per poter calibrare bene tutto il progetto”. L’accoglienza in sala è stata buona anche se confessiamo che diversi hanno lasciato la proiezione in corso mentre altri hanno riso a scena aperta. La prima volta quando Cheyenne inizia a giocare a pin-pong con un ragazzo, si prende una lunga pausa, il ragazzo si distrae e lui ne approfitta per segnare un punto: “Il problema dei giovani è la distrazione”. Risate e poi commozione quando, dopo aver lasciato il suo lussuoso, freddo e impersonale castello irlandese, si reca al capezzale del padre che non vede da 30 anni e ammette: “A 15 anni ho deciso che mio padre non mi amava perché mi truccavo”. Ancora quando da ebreo non praticante e un po’ ignorante partecipa ad una lezione e un caro amico del padre, Morderai Midler (un eccezionale Judd Hirsch) gli mostra delle diapositive di Auschwitz e il cugino gli spiega che il padre ha passato anni a cercare un aguzzino del campo nazista.

Un eccezionale delirio al limite dell’iperralismo quello regalato dai rossi, blu, verdi elettrici che ci raccontano un America che è così tanto cinematografica. Un’America come l’ha sempre vista o sognato un cinefilo che si sia perso in Paris, Texas di Wim Wenders come in tutti i film di Clint Eastwood, tra bar, uomini con tatuaggi originali, tavole calde, distese gialle bruciate dal sole. Interni ed esterni che volutamente fanno parte del nostro immaginario.Sorrentino ci regala il suo film più visionario, freddo (perché sentiamo la distanza che ha da questa storia e da questo mondo che regala valore aggiunto alla struttura) e costruito, che permette allo spettatore di entrare nell’animo di Cheyenne e vedere oltre al suo dolore per poi riuscire ad uscirne insieme al personaggio in un mondo imperfetto. Vsto da occhi ancora innocenti. E poi la musica è la seconda vera protagonista del film con un David Byrne compositore della colonna sonora – sempre perfettamente in sintonia con le immagini – che poi ci regala anche un eccezionale cameo all’interno del film, con la performance su un palco costruito magistralmente con un gioco di prospettiva che, grazie ad un collega, in conferenza stampa, scopriamo essere un ex teatro di posa di Detroit oggi trasformato in garage.

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