X-Men: L’inizio

08/06/11 - Magneto e Professor X sono tornati, ma il prequel della saga di mutanti più famosa della Marvel delude per eccessiva lunghezza e sciatteria estetica.

Tra i franchising degli ultimi anni adattati dal mondo della Marvel, quello degli X-Men è senza alcun dubbio il più altalenante, dominato da buoni e pessimi film che si interscambiano di volta in volta. Certo da questo ultimo capitolo della saga in ordine di uscita, che però racconta come tutto ebbe inizio fra Professor X e Magneto, quando ancora erano indivisibili e fratelli d’animo, ci si aspettavano grandi cose. Soprattutto perché a dirigerlo è stato chiamato Matthew Vaughn, l’autore del potente Kick Ass con il quale era riuscito a creare una formula cinematografica nuova del mondo fumettistico, in equilibrio perfetto fra narrazione e azione. Probabilmente Vaughn sarà stato “bloccato” dalle forze produttive, ma questo X Men: l’inizio possiede alcuni dei più grossi difetti della saghe fumettistiche: ridondanza, poca cura nella sceneggiatura, caratterizzazione dei personaggi altalenante.

La pellicola si concentra su dettagli inutili così da far perdere smalto all’azione, ridotta all’osso e con effetti speciali piuttosto sciatti, mentre la narrazione procede a singhiozzi nelle sue oltre due ore, che risultano eccessive e neanche del tutto esplicative per la sceneggiatura (la scissione fra i due mutanti rimane sul vago), nonostante la struttura del racconto sia messa in scena con una semplicità imbarazzante. Personaggi essenziali ridotti a ruoli di contorno e, specie quelli negativi, ridotti al ruolo di piccole macchiette prive di circolarità (Kevin Bacon su tutti). Anche la ricostruzione storica, che fa riferimento alla delicata questione cubana e all’ossessione tutta americana di una guerra nucleare nel lontano 1962, risulta soltanto un espediente narrativo che rimane, oltre che privo di sviluppi, anche poco curato nella sua ricostruzione estetica. Infatti, sembra di trovarsi in un film di genere anni Ottanta, che non lascia alcun momento riflessivo se non quelli totalmente banali che scadono in toni spesso moralistici e patetici: l’accettare se stessi, il fallimento del genere umano e così via. In compenso, la 20th Century Fox ha fatto le cose in grande mettendo insieme un cast di nomi importanti e buoni attori, anche se non del tutto azzeccati ai ruoli assegnati o male utilizzati, come ad esempio la scelta di James McAvoy fa rimpiangere quella del buon Patrick Stewart che lo aveva preceduto nella prima trilogia, mentre la povera Jennifer Lawrence è troppo intensa per fare la parte della bellona del gruppo. Al contrario, magnetico risulta il Magneto di Michael Fassbender (questo si preannuncia sin da ora come l’anno di svolta della sua carriera), il personaggio anche meglio costruito all’interno dell’asse narrativo. Eppure, nonostante tutto, la pellicola si lascia guardare.

ERMINIO FISCHETTI

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