Pesaro: vince Park Jung-Bum

28/06/11 - Bilancio del festival che resiste alla crisi con un programma convincente tra l'Italia (e il mondo di Bertolucci) e la Russia del documentario.

Dal nostro inviato Silvio Grasselli

Dieci anni fa sembrava che la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro fosse sempre esistita e che inevitabilmente, invariabilmente potesse continuare a esistere per un tempo indefinito. Dopo diverse fasi di taglio al bilancio e dopo edizioni non sempre all’altezza del suo nome, il Festival di Pesaro è approdato alla sua quarantasettesima edizione tirando il fiato, senza quasi essere neppure in grado di garantire la certezza dell’immediato futuro. L’iportante però è sopravvivere o almeno questo è quello che sembrano pensare gli organizzatori e i responsabili della manifestazione. E come spesso accade, quando i mezzi a disposizione bastano appena a consentire l’esistenza in vita è allora che succedono le cose migliori. Dopo diversi anni di corteggiamento finalmente è stato possibile dedicare l’Evento Speciale – retrospettiva monografica dedicata a un maestro del cinema italiano – a Bernardo Bertolucci. Certo, Bertolucci non ha bisogno di essere riscoperto e neppure questo omaggio giunge nel momento migliore vista la sfilza di programmi, eventi e celebrazione che da almeno sei mesi a questa parte lo hanno visto protagonista tra Stati Uniti ed Europa (citiamo solo l’omaggio al Moma di New York e la retrospettiva organizzata a Udine lo scorso inverno) epperò l’Evento Speciale di Pesaro – curato in questa occasione da Adriano Aprà – sembra davvero il posto più giusto per ripercorrere una carriera vasta e al tempo stesso concisa insieme a un pubblico “popolare”, tornare, oggi, all’analisi e allo studio dei suoi film, tentare una più corretta collocazione della sua figura di autore dentro la storia del cinema italiano.

Ma Pesaro è da sempre anche una delle finestre più interessanti sul cinema del resto del mondo. Il secondo evento portante dell’edizione 2011 è stato il programma dedicato al cinema documentario russo. Progettato già due anni fa e annunciato contestualmente alla selezione di film a soggetto presentati nella scorsa edizione, l’omaggio al documentario russo è una puntualizzazione e una constatazione indispensabile perché da più di due lustri è proprio dalla Russia (dalle scuole di Mosca e San Pietroburgo) che viene una buona parte del cinema di non fiction di maggior interesse. Così, nonostante i necessari ripensamenti della selezione – obbligati dalla scure dei tagli – sullo schermo del Cinema Teatro Sperimentale di Pesaro si sono alternati i film di Kossakovsy e di Loznitsa (del quale, inspiegabilmente, è stato mostrato solo un film), i titoli scelti per il tributo al duo composto da Kostomarov (oltre che brillante regista, artefice, in veste di operatore e direttore della fotografia, di alcune delle immagini più belle dei documentari degli ultimi dieci anni) e Cattin, i lavori di alcune delle rappresentati femminili del documentarismo russo. In mezzo ad altri piccoli tributi è venuto poi il programma del Concorso.

La selezione, in buona parte composta a partire dalle scelte e dai premi dei principali festival europei (Berlino, Cannes, Rotterdam) ha privilegiato, come da tradizione, il cinema narrativo, aprendo però più che in passato a racconti fuori dagli standard, anche da quelli più tipici del cinema d’autore o della produzione indie. Il Premio Lino Miccichè alla fine se lo è guadagnato il coreano Musanilgi-The Journal of Musan di Park Jung-Bum, un laconico ritratto della difficile inte(g)razione tra corani del Nord e del Sud. Una nota a parte merita invece il documentario francese Q’ils se reposent en rivolte (des figures de guerres I) di Sylvain George, Menzione d’Onore ottenuta da una giuria di rara lucidità (composta da un giornalista e critico, Fabio Ferzetti, un’attrice, Isabella Ragonese, e una regista, Marina Spada). In effetti il film è da segnalare almeno per due buoni motivi: il primo, si tratta di un documentario lungo ben 154 minuti in bianco e nero che si occupa dell’urgente (la condizione dei migranti che dall’Africa raggiungono l’Europa) senza minimamente tralasciare il lavoro sullo stile; il secondo è che il film è tra i primi risultati di un caso più che interessante, una rivista di critica, “Independencia.fr” che decide di diventare anche società di produzione e distribuzione cinematografica non come diversificazione della propria attività ma, al contrario, proprio come intensificazione e approfondimento dell’esercizio critico in tutti i suoi aspetti, anche e soprattutto quelli più strettamente collegati con il mondo.