Orizzonti 1960-78: l’indie italiano

31/08/11 - A Venezia 68 la retrospettiva indaga il cinema underground nostrano assolutamente da recuperare. Tra ricerca e contaminazioni artistiche.

Dal nostro inviato MASSIMILIANO SCHIAVONI

Come da consuetudine ormai consolidata, anche quest’anno il Festival di Venezia presenta una retrospettiva centrata sul cinema italiano, e in particolare sul recupero e rivalutazione di opere dimenticate, di rara reperibilità o addirittura di mancata distribuzione. Dopo il trash e il comico, stavolta tocca all’underground, al cinema di ricerca sviluppatosi a cavallo degli anni ’60 e ’70 come lascito, sostegno e “compagno di strada” delle mille rivoluzioni culturali dell’epoca. La scelta di Enrico Magrelli, Luca Pallanch e Domenico Monetti, curatori della retrospettiva, si caratterizza per una spiccata poliedricità, dal momento che nella selezione trovano spazio lungometraggi e cortometraggi (si va dai 225′ di Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli ai 3′ di Fotografo di Mario Schifano e dell’anonimo Lido ’28, un frammento della vita elegante del Lido negli anni venti, un recupero cinefilo che è insieme omaggio alla città stessa di Venezia). Tramite tale retrospettiva la Mostra si riappropria decisamente del suo ruolo di avamposto culturale in ambiente-cinema, ruolo che le compete non solo nella promozione e diffusione di nuove forme linguistiche ed espressive, ma anche nell’opera di riscoperta del passato. Per comprendere, magari, che il passato è il presente, e anche il futuro. L’avanguardia italiana ha rappresentato un terreno fertilissimo, dialettico nei confronti del pubblico nel senso più puro del termine, ovvero di sfida alle percezioni, ai confini del vero, del rappresentabile e del leggibile.

Da Carmelo Bene a Nato Frascà, da Paolo Brunatto ai fratelli Mario e Fabio Garriba, da Romano Scavolini a Augusto Tretti, a Mario Schifano, il percorso della retrospettiva tenta di restituire all’ambiente-cinema la sua peculiarità di arte sincretica, in cui non solo arte figurativa, musica, teatro si compenetrano, ma possono anche trasformarsi in occasione di sperimentazione nel reciproco scontro e scivolamento dei piani. Così nell’esempio emblematico di Anna, in cui il rapporto realtà-rappresentazione è portato alle estreme conseguenze di una tentata ed eternamente frustrata coincidenza totale. Oppure nella ricerca di Carmelo Bene che contamina il cinema con il suo teatro già a sua volta contaminato. O nelle ricerche tra fotografia e pittura di Schifano, tradotte in immagini in movimento. Sempre tramite strumenti rudimentali di rappresentazione. Fino al caso-limite di Sul davanti fioriva una magnolia di Paolo Breccia, film molto amato a suo tempo proprio qui al Festival di Venezia, che però non arrivò mai nelle sale. Tra recupero di mondi creativi dispersi e provocazione del cinema attuale, la retrospettiva “Orizzonti 1960-78” si traduce in un’occasione per riflettere sui confini dell’arte, per riscoprire un’era geologica in cui il territorio-cinema si trasformava in pagina bianca dove inventare, ricercare, scardinare. Ciò che, magari, dovrebbe accadere più spesso nelle lande sperdute dell’attuale omologazione creativa.