Ruggine

02/09/11 - Potente per impianto registico e location, il film di Gaglianone si perde nell'estenuata ricerca della tensione. Con Accorsi, Timi e Solarino.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:

  • Stefano Accorsi
  • Filippo Timi
  • Valeria Solarino
  • Daniele Gaglanone
  • Daniele Gaglianone è un autore molto amato per la sua originalità di stile, qualità ormai rara nel cinema italiano, ma in Ruggine presentato a Venezia nelle Giornate degli autori con un cast di buoni interpreti come Filippo Timi, Stefano Accorsi e Valeria Solarino, commette l’ingenuità di protrarre per 20 minuti di troppo la tensione in una narrazione che avrebbe dovuto avere tempi più serrati per portarci nella tragedia vissuta dai protagonisti da bambini, quando incontrarono il male che nella loro vita da adulti rimane come una cicatrice.

    Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia 68 Ruggine, che prende spunto dal libro omonimo di Stefano Massaron pubblicato nel 2003 da Einaudi, aveva tratti autobiografici per lo stesso regista che, come Cinzia, Sandro e Carmine, era un ragazzo meridionale cresciuto nella periferia di una grande citta del nord con il dialetto stretto parlato in casa e l’italiano stentato portato con difficoltà fuori, con tutte le conseguenze del caso: avendo un simile profilo biografico infatti la volontà di emergere deve essere stata forzatamente doppia. Questa condizione emerge da un monologo del personaggio di Carmine adulto che dal quartiere non si è mai allontanato né fisicamente né psicologicamente. Cinzia al contrario ha lasciato il luogo in cui è cresciuta perchè lì “per le donne l’unica cosa da fare sono i figli e la salsa di pomodoro” e con successo è diventata un’insegnante d’arte. Dal canto suo, Sandro è traduttore con un figlio e un divorzio alle spalle. Ma una cicatrice profonda tiene tutti e tre legati al castello della ruggine vicino casa dove la polvere degli oggetti veniva trafitta da raggi di luce (la prima intensa inquadratura del lungometraggio), dove erano maturati i loro primi amori, dove avevano imparato a giocare e scontrarsi con i coetanei (c’è un omaggio – scopriamo poi involontario – molto bello a La guerra dei bottoni di Yves Robert) e dove, purtroppo, era stata divorata la loro infanzia perchè in quei silos così affascinanti era entrato anche il mostro.

    Il film cerca di indagare come si può sopravvivere all’incontro col male nell’età dell’innocenza, come vinca comunque quando compare nella vita, e Daniele Gaglianone è davvero bravo a discernere le sue impressioni da lettore del romanzo da quelle del regista che deve fare delle scelte e quindi elimina i soliloqui del personaggio del dott. Boldrini sostituendoli con inquadrature molto strette su Timi. Questi infatti per i primi 15 minuti del film non viene mai ripreso frontalmente in volto perchè deve riuscire ad arrivare tutta la potenza e l’inquietudine che lo divora. Ottimi anche i primi piani serrati sui ragazzi ormai cresciuti, in modo tale da restituirci l’immediatezza dei sentimenti e dei terribili rivolgimenti dell’anima. Tutto questo però, insieme a una messa in scena che riesce molto bene a veicolare l’attenzione dello spettatore su determinati dettagli fondamentali, non riesce comunque a ‘salvare’ gli errori di montaggio che portano a una costruzione filmica sfilacciata nei momenti cruciali della narrazione.

    Vai alla SCHEDA FILM