Piazza Garibaldi

10/09/11 - Il documentario di Davide Ferrario è un viaggio sulle orme dei Mille di Garibaldi, in un'Italia priva di memoria. In Controcampo.

Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO

In occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, Davide Ferrario si è messo in viaggio sulle orme dei Mille di Garibaldi, per verificare cosa è rimasto, nei luoghi d’approdo della spedizione, degli ideali di cui i patrioti erano portatori. Sorta di reportage on the road, Piazza Garibaldi, presentato a Venezia 68 nella sezione Controcampo Italiano, è suddiviso, a dire il vero in maniera alquanto arbitraria, in nove capitoli, alcuni dai titolo evocativi e piuttosto retorici (alcuni esempi: “Cosa resta”, “Quale Italia” e “Il nuovo mondo e il vecchio”). Il tortuoso cammino è puntellato poi di incontri con la gente comune e le istituzioni, ultimi custodi di una memoria storica che ancora divide.

Ferrario lavora sui materiali reali innestandoli con apparizioni di attori protagonisti, cui affida la declamazione di testi celebri. A Luciana Litizzetto spetta in sorte il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani di Giacomo Leopardi, in particolare la parte che riguarda il cinismo del nostro popolo e quel deridersi scambievolmente che ci caratterizza, argomento che ben si adatta all’irriverente comica nostrana.
Filippo Timi legge L’immortalità degli Italiani di Savinio, testo altrettanto duro nei nostri confronti, ma che non si sa bene perché l’attore ci riporta dalla palestra in cui è intento a sollevare pesi. Da Teano, Salvatore Cantalupo ci narra invece un testo di Luciano Bianciardi che celebra l’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele. Il brano più potente è affidato invece a Marco Paolini, che reinterpreta Scorciatoie e raccontini di Umberto Saba. Nel testo il poeta spiega che in Italia non c’è mai stata una vera rivoluzione perché il nostro non è un popolo di patricidi bensì di fratricidi, diretto discendente di Romolo e Remo. Un articolo apparso sul “Wall Street Journal” e dal titolo eloquente di Italia, riposa in pace, pronostica invece l’estinzione degli italiani, dovuta al decremento delle nascite. Tra calcoli, diagrammi e percentuali, non ci resta che attendere, sereni, la fine.

Da Bergamo, la “città dei Mille” fino a Teano, la troupe di Ferrario, sulle note delle musiche di Verdi, raccoglie testimonianze che esprimono rabbia, rassegnazione, autolesionismo e un raro cinismo, a riprova che i testi selezionati sono davvero appropriati. Ferrrario pare essere partito per questo viaggio con un’idea ben precisa del nostro popolo e nel percorso ne cerca conferme. Non vi è spazio alcuno per la speranza, gli italiani sono brutti, sporchi e cattivi e persino i nipoti del regista si convincono a recarsi in un museo del Risorgimento solo in cambio di una visita al centro commerciale. In mezzo a tanta disperante realtà, l’unico a divertirsi sembra proprio il regista, che rielabora alacremente i materiali “trovati”, li rinomina (si vedano i titoli dei capitoli), li trasforma in una realtà di secondo grado, intellettualizzata, che sullo schermo ha perso ogni cogenza e incisività. Insomma Piazza Garibaldi è documentario d’autore, forse un po’ troppo d’autore.