Quiproquo

12/09/11 - Excursus serio ma non troppo sul tema dell' "avanguardia" nel film di Elisabetta Sgarbi presentato in Controcampo Italiano.

Dalla nostra inviata LAURA CROCE

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:

  • Elisabetta Sgarbi
  • C’è un malinteso che cova dietro al senso comune riferito al concetto di “avanguardia”. O magari un “inteso” non sufficiente per garantire al termine la giusta complessità e soprattutto la sufficiente attualità. Potrebbe sembrare che le avanguardie si siano esaurite con quelle storiche, le correnti artistiche dei primi anni del ‘900 che volevano scardinare e rivoluzionare i canoni dell’arte e della letteratura. Ma allora che dire del grande Cretto di Alberto Burri, costruito a Gibellina nel 1968 dopo il terremoto che aveva devastato quella zona, facendola così rinascere dalle proprie macerie come centro di propulsione artistica? O della neoavanguardia del Gruppo 63? O ancora delle eccellenze nel campo scientifico, industriale, artigianale e biomedico, spesso ineguagliate nel loro genere?

    Queste le domande al centro del documentario, o meglio, del film di ricerca Quiproquo, presentato da Elisabetta Sgarbi alla 68/a Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo Italiano. Il lavoro della Sgarbi raccoglie una serie di interviste condotte dal filosofo Eugenio Lio e incentrate sul tema dell’avanguardia, vista da una pluralità di punti di vista che non rimandano solo al campo, più scontato, delle arti figurative e delle correnti letterarie. Tra i volti passati in rassegna dall’autrice, infatti, oltre a vecchie conoscenze e autorità intellettuali come Franco Battiato, Umberto Eco, Achille Bonito Oliva, Rossana Rossanda, ci sono anche fabbricatori di mattoni di argilla o di fuochi d’artificio, operai impegnati nella produzione di polimeri e semplici passanti magari del tutto inconsapevoli del senso “tradizionale” attribuito a un termine che, paradossalmente, si è imposto proprio come sinonimo del rifiuto di ogni forma di classicismo e di cristallizzazione culturale. Da qui il desiderio di esplorare altresì il rapporto tra novità e sapere antico, tra industria e arte e altri binomi in cui si possono aprire spazi di ragionamento per un discorso sull’avanguardia, non da intendersi come gesto che distrugge il passato, ma come sperimentalismo e innovazione che da quel passato, dai suoi “resti” prende le mosse, come nel caso del Cretto di Burri .
    Come già avveniva in Se hai una montagna di neve tienila all’ombra, Elisabetta Sgarbi compie un percorso per immagini e parole, in cui la complessità dell’argomento trattato potrebbe confondere e forse scoraggiare uno spettatore meno propenso ad addentrarsi nelle pieghe del sistema cultura. Ma anche per questo il film si apre e viene spesso intervallato da immagini di bolle di sapone: leggere, effimere, vacue, ma pur sempre affascinanti e in fondo giocose come il pensiero umano.