L’arrivo di Wang

01/03/12 - Fantascienza all'amatriciana low budget nel film dei Manetti Bros, presentato a Venezia 68 e in uscita in sala il 9 marzo.

Dalla nostra inviata Laura Croce

A metà tra thriller e fantascienza, L’arrivo di Wang dei Manetti Bros sembra partire da uno spunto interessante, almeno per un cinema italiano che di generi, a parte la sempreverde commedia, non sembra proprio voler sentir parlare. La protagonista, Gaia (Francesca Cuttica), è un’interprete di cinese che viene convocata all’improvviso per un misterioso lavoro pagato fin troppo profumatamente. Una volta bendata e portata in una specie di bunker di massima sicurezza dall’ambiguo “man in black” Curti (un improbabile Ennio Fantastichini, che non fa che arricciare il naso dall’inizio alla fine del film), la ragazza sarà costretta a tradurre in una stanza buia le parole del prigioniero Wang, fino a scoprire che il suo interlocutore è in verità un alieno catturato dai servizi segreti, recluso e torturato in cerca di maggiori informazioni riguardo il suo arrivo sulla Terra.

Qualità della recitazione e delle immagini a parte (un digitale smunto e fotografato con davvero poca fantasia), l’incipit del film potrebbe anche funzionare in vista delle aspettative che riguardano l’enigmatico personaggio nascosto nel buio della sala degli interrogatori. Ma quando si accendono le luci e il neon offre alla vista una specie di pupazzo tentacolato verdognolo, cade ogni speranza di riscatto. La sceneggiatura ripete se stessa fino allo stremo, proponendo come soluzione di svolta l’idiozia delle guardie che consente ai protagonisti una fuga inverosimile e grottesca. La tensione, pur consentita dalla location sotterranea e cunicolare, è smorzata dall’assurdità della situazione a contorno della vicenda, mentre il finale “a sorpresa” non sorprende né riabilita un film che, anzi, si tinge anche di un dubbio sberleffo ai diritti umani e al dialogo tra i popoli. Ovviamente non si tratta di nulla di serio, ma dato che non si parla di Tim Burton e del suo Mars Attacks!, ma di fantascienza all’amatriciana, una simile conclusione potrebbe emergere come ulteriore elemento di fastidio da aggiungere alla totale mancanza di sintesi, ritmo e originalità dell’opera dei Manetti Bros. Ben vengano i generi, il trash e anche il low budget (anche se l’alieno è stato creato al computer con evidente dispendio di effetti speciali), ma non se i film devono ridursi a un mix di spunti già ampiamente visti e sfruttati molto meglio, e molto prima, dal cinema americano.

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