Hysteria

28/10/11 - Maggie Gyllenhall e Rupert Everett protagonisti di una commedia leggera e innocua sull’invenzione del vibratore. Dirige Tanya Wexler.

Dal nostro inviato EMANUELE RAUCO

Quando alla fine dell’Ottocento le donne insoddisfatte, arrabbiate e depresse erano tutte tacciate di essere isteriche come fosse una reale malattia, esistevano figure mediche che alleviavano le pene delle signore praticando massaggi e stimolazioni alle loro parti intime fino a provocare loro un parossismo (ossia un orgasmo). Da questo spunto Tanya Wexler trae Hysteria, commedia in costume che sfrutta un pretesto trasgressivo da donare al grande pubblico. Protagonista è il dottor Granville, medico anticonformista che trova lavoro presso il professor Dalrymple, esperto nella cura dell’isteria: qui conosce le due figlie, la calma e delicata Emily e l’aggressiva e travolgente Charlotte. E quando le abilità manuali di Granville non saranno più sufficienti, arriveranno le invenzioni di Edmund a cambiargli la vita. Commedia dalle varie facce – sociale romantica e psicologica – scritta da Stephen e Jonah Lisa Dyer sulla scia di Irina Palm, Hysteria appartiene a un cinema medio e ben fatto che strizza l’occhio ai tabù.

In questo caso, il piacere e l’orgasmo femminile, praticamente negati dalla scienza fino al 1952 (quando venne abolita del tutto la diagnosi di isteria), diventano il fulcro di una riflessione su come il progresso della scienza e quello della società raramente vadano di pari passo, includendo – con gran sfoggio del senno di poi – anche la lotta di classe e quella di genere sessuale (con riferimenti alle suffragette in primis). Al suo primo film dal respiro ampio e commercialmente di massa, Wexler ci tiene alla cura e alla quadratura del cerchio, mette insieme tutti gli elementi indispensabili per un film amabile (risate e strizzatine d’occhio, impegno, progressismo, vivacità e melodramma) con tanto di peana conclusivo in tribunale. Ne esce fuori un film leggero e innocuo, onesto nelle intenzioni, ma anche un po’ superficiale nel modo in cui argomenti forti (basti pensarli nelle mani di un Cronenberg, ad esempio) diventino più che un’occasione di sorriso, una questione di “barzelletta”. Accademia condita di trasgressione, fatta abilmente per piacere, ma impeccabile nella messinscena e nella direzione degli attori con Rupert Everett sornione come sempre, una perfetta e frizzante Maggie Gyllenhall e un maestro di ironico aplomb come Jonathan Pryce. Con il loro “massaggio” garantiscono allo spettatore, come alle loro pazienti, un momentaneo ma gradito sollievo.

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