Like crazy

30/10/11 - Drake Doremus porta fuori concorso al Festival di Roma un ottimo film indipendente americano, dal montaggio poco riuscito.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

Perdersi per ritrovarsi. L’altro e l’altrove possono essere utili per rafforzare un legame o portano al perdersi definitivamente? Nell’abbraccio finale nella cabina doccia i due protagonisti si toccano e decine di flash-back riaffiorano. Quegli istanti così pieni hanno portato alla nascita del loro amore ma tutto quello che è successo nel frattempo ha spezzato per sempre quell’unione adolescenziale o no? Cosa ci sarà dopo quell’ennesimo allontanamento dei loro corpi? Il viaggio dei due protagonisti di Like crazy di Drake Doremus, presentato fuori concorso al Festival del cinema di Roma, può essere tradotto nei modi più diversi perché tenta di racconta l’amore più puro. L’amore turbolento, quello dei profondi eccessi e dei silenzi ricchi di senso e di spazio. L’autore ventottenne, per la prima volta a Roma – dopo il conseguimento del Premio della Giuria e quello per la miglior interpretazione femminile al Sundance Film festival – confessa di aver attinto a piene mani dalle sue vicende sentimentali, da un amore a distanza come quello tra Jacob (Anton Yelchin) e Anna (Felicity Jones, interprete anche di Hysteria, presente nel concorso ufficiale), diviso tra l’America e l’Inghilterra. Un amore che rischia di morire a causa della burocrazia e della paura che attraversa tutta la relazione tra i due ragazzi. Finita l’università – dove si sono conosciuti e innamorati – si chiedono cosa ne sarà del loro amore. Jacob regala ad Anna un braccialetto con incisa la parola “pazienza” perché sarà la condizione necessaria che devono assumere i loro animi per continuare a far vivere la loro storia nonostante tutto, nonostante la sensazione – come recita una battuta del film – di stare in vacanza e di non far parte uno della vita dell’altro.

Doremus ci regala uno sguardo profondamente delicato e curioso sulla vicenda (ispirato da Le onde del destino di Lars Von Trier e Y tu mama tambien di Alfonso Cuaron) prendendosi il rischio di sperimentare e mettere in gioco emozioni che arrivano autentiche allo spettatore. Scopriamo in conferenza stampa che si mette in totale ascolto dei suoi attori ai quali non fornisce una sceneggiatura o battute prestabilite ma solo indicazioni sull’atmosfera: “Parliamo a lungo della scena ma poi la loro mente è libera di improvvisare tutto quello che deve accadere”. Anton Yelchin e Felicity Jones – scelta a soli 5 giorni dall’inizio delle riprese dopo la visione di una cassetta con la scena finale – sono intensi e sanno mescolare al meglio la verginità di sguardo di due adolescenti che crescono insieme e il mestiere. Però, proprio l’eccesso di libertà dato agli attori toglie qualcosa alla completezza dell’opera: pur esistendo battute sempre molto essenziali e azzeccate mancano alcune scene che regalino maggior uniformità alla storia, alti e bassi necessari e una maggiore fluidità. Probabilmente questo è dovuto anche a un errato lavoro di montaggio perché, come ha raccontato il regista che collabora all’editing, viene utilizzato meno del 5% di tutto il girato e quindi il film prende davvero vita in fase di montaggio.

Alla fine della proiezione restano gli occhi intensi della protagonista e l’azzeccatissima scelta della colonna sonora (Dustin O’Halloran) usata con maestria: presente in tante scene di raccordo, tra le andate e i ritorni, lascia spazio al totale silenzio nelle scene di dialogo, già così ricche, grazie alla luce regalata dagli attori.“Il cinema indipendente è ancora vivo e ha tanto da dire soprattutto in America” – ha detto Drake Doremus salutando la platea che ha accolto favorevolmente il film e sicuramente il suo talento non mancherà di regalarci nuovi film, magari proprio a Cannes 2012, visto che sta per concludere le riprese dalla sua nuova opera dove ritroveremo protagonisti nuovamente Yelchin e Jones.