Underworld – Il risveglio

17/01/12 - Il quarto episodio della serie horror-fantasy cambia registi, Marlind & Stein, ma non la protagonista che resta Kate Beckinsale.

La vera difficoltà nel realizzare una serie cinematografica, anziché una serie televisiva, è che un singolo film, a differenza di un singolo episodio, è guardato anche da chi non ha visto gli altri tasselli della serie. E’ su questo limite che s’infrange Underworld-Il risveglio, quarto capitolo della saga sulla guerra tra vampiri e lycan creata nel 2003 da Len Wiseman che per l’occasione cambia regista, passando a una coppia, quella degli svedesi Mans Marlind e Bjorn Stein alla seconda prova negli USA. La storia comincia 12 anni dopo la disinfezione degli umani contro vampiri e lycan: Selene si sveglia dall’ibernazione e fugge dal laboratorio, trovando un mondo cambiato. Poi, le visioni che ha la portano da Eve, la figlia ibrida che ha avuto da Michael, una bambina che potrebbe far scatenare una nuova guerra tra i superstiti delle due razze perennemente in lotta. Scritto da Len Wiseman, John Hlavin, J.Michael Straczynski e Allison Burnett, il film mantiene l’impianto da fantasy dell’orrore con in più una massiccia dose di azione violenta e un discreto 3D.

Le riflessioni sul tema della diversità e sul rapporto tra gli esseri umani padroni della terra, che facevano capolino nel 2° e nel 3° episodio, vengono infatti messe da parte a favore di un impatto più tradizionale, con pretesti classici come quello dell’ibernazione, patina visiva high-tech d’ordinanza, colpi di scena che non mancano mai (anche se quello sulla vera identità degli scienziati è ben piazzato) e una sequela di sparatorie, assalti e scazzottate, che si cerca di bilanciare con tocchi da soap-opera nel tratteggio dei legami personali di Selene, tanto con l’amore perduto che con la figlia ritrovata. Detto ciò, resta un film solo per appassionati, secco, svelto, con pochi fronzoli, ma che paga la mancanza di una mitologia davvero interessante, di qualche risvolto che possa catturare i non iniziati. I quali, di fronte al finale aperto per lasciare spazio all’inevitabile seguito, resteranno un po’ irritati, come per la sbrigativa conclusione o per i mediocri effetti speciali. Tutti gli altri però apprezzeranno il ritmo impresso dai registi (nonostante il cuore rianimato da dentro, come in Matrix 2), le soggettive che la stereoscopia rende affascinanti e Kate Beckinsale perennemente in latex, più virago assassina che amazzone decisa. Un film che non aggiunge né toglie nulla al genere e alla serie, ma che probabilmente non aggiungerà altri fan al prodotto, nonostante l’avvenenza della sua protagonista.

EMANUELE RAUCO

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