The Woman in Black

29/02/12 - Alla prima prova dopo Harry Potter, Daniel Radcliffe non convince in un fiacco horror gotico diretto da James Watkins. In uscita venerdì.

La prova del fuoco: questo rappresenta The Woman in Black per Daniel Radcliffe, ragazzo reso celebre dall’aver impersonato Harry Potter per ben 10 anni e qui alla sua prima prova cinematografica fuori dai panni del maghetto. Ma il risultato di questo horror gotico diretto da James Watkins, sia in termini cinematografici sia nella prova d’attore, lasciano a desiderare. Radcliffe interpreta Arthur Kipps, un avvocato vedovo con figlio a carico che, agli inizi del ‘900, deve cercare di vendere una tetra magione di campagna, dove evidentemente si cela un segreto, visto il modo in cui tutti, a Crythin Gifford, lo trattano. Un segreto raccontato da Susan Hill in un romanzo del 1983 e che Jane Goldman da sceneggiatore adatta come un classico racconto di genere (ma senza troppe sorprese), non a caso prodotto da quella Hammer che negli anni ’60 rese impeccabile l’orrore vittoriano.

Il film mette in scena una tipica storia di drammi familiari, tragedie incidentali e fantasmi che si vendicano nascondendosi nelle case abbandonate e nelle visioni degli abitanti, prendendo a prestito tutti i topoi del sottogenere gotico e raggruppandoli, come a seguire l’indicazione di Umberto Eco secondo cui “mille cliché fanno commuovere”. In questo caso, siamo lontanissimi da Casablanca, per cui Eco inventò quel motto: Watkins, al secondo film da regista, prova a giocare con le atmosfere rarefatte di case abbandonate, rumori, paesaggi spettrali e via di seguito, cercando di usare i tempi dilatati della narrazione e la mancanza di dialoghi a suo favore, come facevano i registi degli anni ’40 e ’50. Ma non essendo un abilissimo artigiano, come invece erano i maestri dei generi cinematografici di quegli anni, Watkins impagina gli stereotipi in modo meccanico e svogliato: suggerisce i colpi di scena troppo presto, sfilaccia un intreccio comunque non molto forte e fallisce soprattutto nella costruzione della suspense, qui molle e poco interessante come l’intero film, che culmina con un finale rabberciato in sede di sceneggiatura. E allora, l’interesse principale dello spettatore è quello di vedere la prova del giovane Radcliffe: ma se era il punto debole in un progetto forte e blindato come Harry Potter, lo è a maggior ragione in un film di minore profilo in cui è costretto a girare senza parlare, dentro una casa vuota, per quasi mezz’ora. Esperimenti che non falliscono semplicemente, ma che potrebbero addirittura compromettere una carriera.

EMANUELE RAUCO

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