Les adieux à la reine

10/02/12 - Nel film d'apertura della Berlinale 62, Benoït Jacquot pecca in freddezza dello sguardo ritraendo gli ultimi giorni dell'Ancien régime.

Dal nostro inviato Raffaele Meale

Ascolta la conferenza stampa del film dal Festival di Berlino.

Nell’atmosfera afosa dell’estate, gruppi di cittadini e di soldati si scontrano nei pressi dei cancelli d’ingresso chiusi della reggia di Versailles. L’incipit scelto da Benoït Jacquot per Les adieux à la reine, sua ventiseiesima fatica cinematografica, permette allo spettatore di entrare subito in medias res: siamo nel luglio del 1789, nei primi giorni della rivoluzione che porterà al rovesciamento della monarchia francese suggellato simbolicamente dalla presa della Bastiglia. Jacquot relega la messa in scena dei moti di rivolta solo a queste brevi immagini introduttive: una volta valicati i cancelli d’ingresso della reggia la macchina da presa non li abbandonerà più. La scelta, fedele al testo di Chantal Thomas da cui è tratta la sceneggiatura scritta dallo stesso Jacquot insieme a Gilles Taurand (una carriera passata a fianco di illustri registi come André Téchiné, Raoul Ruiz e Ursula Meier), è quella di far sì che la rivoluzione irrompa in scena per interposta persona, eco lontana che vorrebbe essere lasciata come fastidioso rumore di fondo dalla corte.

L’attenzione del regista, al contrario, si focalizza sulla regina Maria Antonietta e sulle dame di compagnia che la affiancano e ne assecondano i desideri. Uno sguardo privato, che si intrufola nella camera da letto della monarca e cerca di immortalare la stasi nella quale era sprofondata Versailles. Sarebbe infatti inesatto considerare Les adieux à la reine un film sulla figura di Maria Antonietta, qui interpretata da una convincente Diane Kruger, in grado di cogliere alla perfezione i vezzi infantili di una personalità ambigua e spesso fin troppo banalizzata: Jacquot si stacca ben presto dalla regina per allargare la visuale alla vita di corte che le brulica accanto, ponendo al centro dell’inquadratura i personaggi della favorita della regina Gabrielle de Polignac (a cui dona corpo e voce Virginie Ledoyen, giovane promessa non completamente mantenuta del cinema francese) e di Sidonie Laborde, lettrice ufficiale di Maria Antonietta, il cui personaggio è affidato alle cure di Léa Seydoux. Proprio questa sorta di triangolo scaleno diventa il fulcro attorno al quale ruota l’intera vicenda narrata da Jacquot: una rappresentazione dei rapporti di potere che vive in costante bilico tra riflessione storica e fascinazione per i corpi messi in scena.

Ed è proprio sotto questo aspetto che Jacquot sembra perdere almeno in parte l’impugnatura del film: l’intreccio che lega i personaggi si disperde per colpa della freddezza glaciale della regia, che si tiene volutamente a distanza dalle sorti delle tre donne e ne osserva le azioni con occhio che verrebbe quasi naturale definire entomologico. Un approccio che, sposato alla scenografia teatrale e a una certa fissità della recitazione finisce per giustificare l’accusa di manierismo fine a se stesso, scollato da una reale intenzione narrativa. Peccato, perché in realtà gli spunti di interesse non mancano, anche e soprattutto sotto il profilo della riflessione storica, come evidenzia in maniera inequivocabile il finale, che allarga la visuale sul destino delle figure di secondo piano nei giorni tumultuosi della rivoluzione. Les adieux à la reine ha aperto ufficialmente la sessantaduesima edizione della Berlinale, dove è stato inserito nel concorso ufficiale. Per quanto sia presto per vaticinare eventuali riconoscimenti nei confronti del film, era lecito aspettarsi qualcosa di più da un’opera che vorrebbe cristallizzare i giorni durante la rivoluzione (l’azione narrata si svolge tra il 14 e il 18 luglio) ma finisce sempre per sfiorare solo la superficie.