Home for the Weekend

16/02/12 - Un classico dramma familiare da salotto per il talentuoso regista tedesco Hans-Christian Schmid. In concorso al Festival di Berlino.

Dalla nostra inviata Daria Pomponio

Le famiglie sono da sempre una fonte d’ispirazione fondamentale per quegli autori che perseguono un cinema umanistico, devoto all’indagine di pregi e difetti dall’umana natura. Occasioni privilegiate per un’osservazione più che psicanalitica quasi etologica di un gruppo di consanguinei, sono di certo le feste comandate, eventi deputati alla libera esplosione di vecchi asti e inconfessabili segreti, utili a tratteggiare elementi caratteriali altrimenti inespressi. Dopo aver approcciato il legal drama sui diritti umani con l’interessantissimo Storm, rimasto purtroppo inedito in Italia, il talentuoso regista tedesco Hans-Christian Schmid torna a raccontarci in Home For the Weekend, come avveniva già in Requiem, gli effetti della malattia mentale. Ma mentre nel film del 2006, le conseguenze della schizofrenia erano circoscritte alla protagonista, in Home For the Weekend, presentato in Concorso alla Berlinale 2012, la malattia si ripercuote su un’intera famiglia.

Presenza destabilizzante in un nucleo di soli uomini (un marito e due figli maschi), Gitte (Corinna Harfouch) è una madre sui generis, abituata ad essere accudita più che a prendersi cura, sempre alla ricerca della stabilità. Sarà proprio lei, in occasione del pranzo del weekend a rivelare il segreto più scottante: ha smesso di prendere i medicinali che tengono sotto controllo i suoi sbalzi d’umore, per curarsi soltanto con la medicina cinese. Da questo momento in poi, Gitte sarà però guardata con sospetto dai figli e dal marito, che si aspettano una sua crisi nervosa da un momento all’altro; invece saranno loro a perdere le staffe, tirando fuori una serie di problemi personali (un matrimonio fallito, uno studio dentistico senza pazienti) e litigando l’uno con l’altro. L’osservazione di Schmid è scientifica, quasi raggelata; si evidenzia una maggiore empatia per il fratello maggiore, Mark (Lars Eidinger, il futuro padre single) ma nulla di più. Per simulare poi il senso d’instabilità, non solo emotiva delle parti in gioco, il regista sceglie una modalità di ripresa mobile, con inquadrature lievemente ondeggianti a simulare un naufragio imminente. Ma il dramma familiare non giova all’autore, che sembra bloccato in un film troppo claustrofobico e i cui topoi lo conducono verso un anodino manierismo. Una sorprendente fuga nella wilderness rivitalizzerà il tutto, ma resta l’impressione che Home For the Weekend sia un film di passaggio per uno degli autori più interessanti del cinema tedesco contemporaneo.