Arrivano i nostri

19/03/09 - Questa congiuntura d'inizio primavera appare discretamente positiva per il cinema...

Arrivano i nostri

(Rubrica a cura di Alessandro Aniballi)

arrivano-i-nostri-interno.jpg19/03/09 – Questa congiuntura d’inizio primavera appare discretamente positiva per il cinema italiano, con “La matassa” primo in classifica che riesce a scalzare addirittura l’ennesimo capolavoro di Clint Eastwood. D’altronde non sono pochi i titoli italici in sala, ciascuno rivolto a un certo tipo di pubblico: il comico (“Ex” e “La matassa”, per l’appunto), il sentimental-autoriale (“Giulia non esce la sera” e “Due partite”, ma anche “L’ultimo Pulcinella”), il giovanilistico (“Iago”), persino il cinema civile (“La siciliana ribelle”), per limitarci quantomeno alle uscite con maggiore visibilità . Ciò che continua a latitare è la relativa capacità  di parlare allo spettatore e la conseguente difficoltà  nel leggere la società  italiana, senza neppure stare troppo a pretendere un coraggio e tematico e di messa in scena. “La siciliana ribelle”, ad esempio, a regia di Marco Amenta, sembra purtroppo un film fuori dal tempo. Non si può certo criticare la scelta di raccontare una delle tante storie di lotta alla mafia di cui è costellato il nostro paese e la Sicilia in particolare, ma quel che sorprende nel racconto di Amenta è l’approssimativa caratterizzazione del personaggio principale: la scelta della protagonista di mettersi di traverso alla mafia, appare dettata più dal caso, peraltro mal costruito (un diario che cade nell’ufficio di Borsellino), che da effettiva e progressiva consapevolezza. Amenta vuole giocare su un malinteso: Rita Atria si rivolge alle pubbliche autorità  per chiedere vendetta, ma costoro non le possono offrire altro che giustizia; quel che non quadra è che il personaggio si convinca in modo grossolano a intraprendere la strada della Legge, quando il senso del film andava cercato proprio in quel rovello.

A “La siciliana ribelle” manca quel che invece muoveva tutto il cinema civile della prima metà  degli anni Novanta (che pure non ha brillato mai troppo) e cioè la coscienza, la rabbia, la scoperta gravosa della ontologica ingiustizia mafiosa. In tal senso ci pare che fosse riuscito decisamente meglio un film di Faenza di qualche anno fa, quel “Alla luce del sole”, che era capace di mostrare come la mafia intorbidasse persino il vivere quotidiano; lì non si poteva non provare indignazione verso le ingiustizie di Cosa Nostra. Se quel film del 2005 sia stato il canto del cigno, non sappiamo; quel che si teme però è che, come la società  e la politica sono tornate mute nella lotta alla mafia (vedi lo scarso peso che alla fine ha assunto sullo scenario nazionale un personaggio come Rita Borsellino), così anche il nostro cinema sembra oggi incapace di leggere la complessa e apparentemente immutabile realtà  siciliana.