Festival del cinema europeo – quarta giornata

Ancora Emir Kusturica e Sergio Castellitto a fare da protagonisti a Lecce, mentre il concorso si arricchisce di un film russo che indaga e denuncia la violenta società contemporanea.

Al Festival del cinema europeo di Lecce è stata di nuovo la giornata di Sergio Castellitto e Emir Kusturica. L’attore e regista italiano ha inaugurato la mostra fotografica che la kermesse pugliese gli ha dedicato grazie agli archivi della Fototeca del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e ad alcuni scatti personali che l’autore romano ha voluto donare perché tutto il ‘suo lato pubblico’, che non è mai stato distinto dalla sua sfera privata, fosse rappresentato. Quindi in ordine cronologico si possono ammirare le immagini de L’armata ritorna di Luciano Tovoli del 1983 con Marcello Mastroianni (rivedendola Castellitto ricorda ancora l’emozione e di come – al momento di un dettaglio – non riuscisse a tener ferma la mano in cui stringeva una catenina). Poi Paura e morte di Margarethe Von Trotta del 1986 e La famiglia diretto da Ettore Scola l’anno successivo. Accanto a due colleghi e amici in Piccoli equivoci di Ricky Tognazzi nel 1989 e Carlo Verdone nel 1990 in Stasera a casa di Alice. Poi le pellicole importanti di Ferreri, Bellocchio, Risi, Tornatore fino ad arrivare agli ultimi scatti in cui lo si vede con Margharet Mazzantini in scena e nel privato e a Cannes, membro della Giuria accanto al presidente Sean Penn, l’anno degli importanti riconoscimenti ai film di Matteo Garrone e di Paolo Sorrentino. La prima cosa che si sente di dire il regista romano è “Grazie. La parola più bella” riconoscendo che l’omaggio del festival, arricchito di una monografia curata da Enrico Magrelli dal titolo Sergio Castellitto. Senza arte né parte, è: “Un dono d’affetto a un artista, alla sua carriera e alla sua storia professionale che mi consente anche di fare il punto su quello che ho fatto e che ho anche deciso di non fare perché una carriera è segnata anche dai film che si rifiutano”. Poi ricorda l’incontro umano e professionale con Jacques Rivette e su come il grande autore della Nouvelle vague gli insegnò tanto con i suoi “Je ne sais pas” perché “dietro a quei non so c’era un invito che attribuiva all’attore una parte come autore”.

Per Emir Kusturica, prima la visita al Castello Carlo V dove, a cura di Andrea Gambetta, è stata allestita una mostra di foto di set da Underground (1995) a Maradona (2008), omaggio concepito come un racconto per immagini di parte della sua produzione cinematografica e poi l’incontro con i giornalisti durante il quale si è soffermato molto sul racconto dei suoi progetti, sia quelli non andati in porto come il film Cool water, ambientato in Terra Santa, sia quelli cui si sta dedicando come regista (Our life, episodio di un film collettivo ideato da Arriaga, Pancho Villa – ispirato stilisticamente a Sergio Leone – e Verdiana in fase di sviluppo). Senza dimenticare la sua dimensione di architetto e costruttore: Kusturica sta cominciando la costruzione della sua seconda cittadina, dopo Kustendorf (sede del suo festival di cinema). Sorgerà nelle vicinanze della prima e ingloberà un ponte rinascimentale sulla Drina che fu anche soggetto nell’opera del serbo premio Nobel Ivo Andric, Il ponte sulla Drina. Ma il momento più intenso vissuto con l’autore serbo – che in serata dialoga in sala col pubblico e il governatore della Puglia Nichi Vendola – è il concerto con gli Stribor Kusturica and The Poisoners dove non si risparmia, divertendosi a suonare in un luogo che, come afferma ‘sente profondamente vicino per cultura e suoni”. Bis concessi fino a notte.

Uno degli ultimi titoli presentati in concorso è lo struggente Bedouin di Igor Voloshin: un’altra storia al femminile dove la malattia di una figlia, in una Russia sempre più violenta e in mano a sfruttatori di ogni genere, spinge una madre ad “affittare” per denaro il suo utero a una coppia gay. Rita parte dall’Ucraina, ma non tutto va secondo i piani stabiliti e la donna vivrà un viaggio tra pena, angoscia, morte e redenzione finale. Dopo diversi giorni di film claustrofobici per stile di ripresa, qui l’inquadratura si allarga sulla desolazione del paesaggio, metafora della condizione dei personaggi (la donna, il pescatore, il ragazzo cinese) e insieme denuncia dello stato di degrado in essere nella nostra società.