Rent-a-Cat

Dal Giappone, il ritratto di una ragazza solitaria che affitta gatti per allietare il quotidiano del prossimo. Presentato al Far East a Udine.

Già selezionato alla 62esima edizione del Festival di Berlino nella sezione Panorama, viene presentato anche al Far East, la cui 14esima edizione è in corso fino al 28 aprile, Rent-a-Cat della regista giapponese Naoko Ogigami. La trama del film è semplice quanto paradossale: Sayoko vive sola circondata da gatti e gira per la città con un megafono e un carretto per affittare felini a chi – come lei – soffre di solitudine. Ne nasce un affresco “in sordina”, fatto di azioni quotidiane e piccole e lunghe solitudini, in cui la protagonista dialoga con i suoi gatti o approccia i differenti clienti in cui imbatte nel corso del film: un’anziana vedova ignorata dal figlio, un uomo d’affari disprezzato dai suoi familiari e una noleggiatrice d’auto costantemente senza clienti. Con tutti i personaggi con cui entra in contatto, Sayoko costruisce immediatamente un rapporto profondamente umano, in cui proprio la comune passione per i felini favorisce confessioni e dialoghi sinceri.
Giocato dunque su un tono intimista, Rent-a-Cat costruisce dei personaggi malinconici e solitari capaci di trasmettere un’immediata empatia e un profondo senso di comprensione. La semplicità dell’impostazione del film diretto da Naoko Ogigami apre il campo a una struttura necessariamente schematica, basata sugli incontri della protagonista con i suoi clienti; ma è proprio grazie alla singola ricchezza di ciascuna caratterizzazione che Rent-a-Cat si sostiene e si alimenta, dando luogo a un costante senso di tenera commozione. Inoltre, la stessa ripetitività dei gesti e delle situazioni (la protagonista che percorre sempre un identico tratto di strada con il carretto e il megafono, gli incontri in giardino con la molesta e grottesca vicina che si fa beffe di lei, le visite in casa dei suoi clienti) innesca un racconto quasi ipnotico in cui a prevalere è un’ “orizzontalità” del sentimento e del sentire, dietro cui si cela il baratro dell’horror vacui, riempito proprio dai gatti e dal loro olimpico approccio alla vita.
Ecco che allora riesce difficile trovare una definizione di genere a Rent-a-Cat, che rifiuta le concessioni da romanzo di formazione (la protagonista vorrebbe avere una compagnia maschile che però neppure prova a cercare), così come si concede non pochi elementi di commedia senza però lasciarsene occupare per intero e, infine, non scade nel dramma della solitudine, ma lo tiene ben nascosto dietro la presenza sfingica dei felini. Più che il grottesco allora, a dominare è il surreale che, secondo dei tratti tipicamente giapponesi, possiede un tono oscillante tra favola, sogno e realismo. Grazie anche a una regia elegante pur nella sua semplicità di messa in scena, ad accenni di soggettive “gattesche” e a una capacità inusuale di cogliere e registrare in modo realistico le condizioni atmosferiche (la pioggia o il pulviscolo dell’aria), Rent-a-Cat si gioca su di un fascino a tratti impalpabile, un sentimento dell’indefinito che è lo stesso che si prova nell’osservare un gatto alle prese con il suo misterico ozio quotidiano.