Italian Graffiti

Borotalco (1981) di Carlo Verdone: ritorna in blu-ray per CG Home Video uno dei primi film dell'autore romano. Ancora molto divertente, ma stilisticamente "inespresso".

Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni

italian graffitiBorotalco è prima di ogni altra cosa una perfetta rappresentazione dell’orizzonte del reale che il cinema italiano popolare anni ’80 si poneva come scenario in cui muovere le proprie strategie. Si tratta di un cinema che esce malconcio dal dissesto sociale, creativo e produttivo della fine degli anni ’70, che lega la propria espressività a fonti fino a quel momento poco o per nulla sfruttate (i comici televisivi: Carlo Verdone lo è stato prima di darsi al cinema) utilizzandone la popolarità a fini di cassetta. Un cinema che si fa più piccolo, privato, percepito come nuovo ma in realtà ancora molto legato a schemi e convenzioni collaudati. Lo scioglimento di Borotalco, in tal senso, è assai significativo: dopo aver rimesso a nuovo la più archetipica commedia degli equivoci basata sullo scambio di persona, Verdone chiude in prefinale tramite una lunga sequenza basata sulla più classica agnizione, dove tutti i personaggi si ritrovano in scena svelando finzioni e verità, con annessa severa bastonatura del povero protagonista, eroe meschino in cerca di un barlume di gloria.

Dal 22 maggio Borotalco è riapparso in blu-ray per CG Home Video, ed è una buona occasione in più direzioni: in primo luogo per riscoprire un Verdone degli esordi, al suo terzo film ma per la prima volta alle prese con una narrazione unitaria, lontana dalle macchiette episodiche di Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone. In secondo luogo, per ricollocare il film nel suo contesto, vederne in diacronia i tratti che più appartengono a una dimensione al di sopra dell’autore, ovvero a una pratica cinematografica diffusa nei suoi anni. Verdone si sgancia con molta cautela dalle macchiette dei suoi film precedenti, come del resto farà in tutta la sua carriera, sempre un po’ timoroso nell’abbandonarsi a un cinema diverso. Stavolta v’è un solo protagonista, l’afflitto e represso Sergio Benvenuti, che tuttavia si sdoppia in un suo alter ego di uomo “vissuto” e coatto, funzionale a un’ulteriore esibizione fregolistica dell’attore alle prese con voci distorte e gestualità di un tipo grottesco. Si riconferma ancora la tendenza ai toni malinconici, tanto che, se vista con un lieve margine di distanza, la tiepida epopea di Sergio suscita anche una smorfia umoristica di pietà. Il desiderio di fuggire da se stesso verso una gigantesca simulazione d’identità rivela per contrasto un tessuto sociale piccolo-borghese (che pure è tratteggiato per capi sommissimi e generici) afoso e frustrante, da cui l’unica possibilità di fuga si delinea nella fantasia libera e sognante. E il Verdone-autore denota anche un certo coraggio nella rinuncia al lieto fine. Significativa è poi la citazione riservata ad Alberto Sordi e Un americano a Roma, altro personaggio che fa della fantasia popolare uno strumento d’evasione da una realtà sconfortante. Ma attinente agli anni ’80 è la povertà linguistica del cinema a cui Borotalco appartiene. Siamo nel tranquillo alveo del cinema classico e commerciale, e sta bene. Ma la scarsa sensibilità della macchina da presa, la sua totale funzionalità al racconto, appartengono a una deriva espressiva che, nel prosieguo degli anni ’80, toccherà vette peggiori. Dal punto di vista autoriale il primo cinema di Verdone è comunque migliore del suo attuale, quantomeno nell’amministrare e dosare gli scarti di tono tra commedia e comico. E raccoglie tre caratterizzazioni molto azzeccate da Eleonora Giorgi, Christian De Sica e Angelo Infanti. Con una menzione speciale per il più famoso monologo del grande Mario Brega, capace di far ridere generazioni con le olive greche.

Mario Brega e i due giovani irrispettosi: