Sguardi sonori

La mia vita è uno zoo: Jònsi, leader dei Sigur Ros, dona le sue note sognanti al film di Crowe con Matt Damon.

Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco

sguardi-sonori-interno.jpgAnche se non piace a tutti, c’è una cosa che si deve per forza riconoscere a Cameron Crowe: l’ottimo uso delle canzoni. Appassionato di musica e giornalista prima che regista, l’autore di La mia vita è uno zoo, sa dove scegliere e come piazzare i brani. E proprio per questo suo ultimo film ha deciso di affidare l’intera colonna sonora a uno dei più amati artisti alternativi contemporanei: Jònsi, leader dei Sigur Ròs.
Il cantante e musicista islandese, che ha da poco avviato una carriera solista parallela a quella della sua band (tra le migliori in circolazione), ha donato parte del suo repertorio a Crowe oltre ad aver composto brani e partiture originali che si sposano perfettamente alla pellicola. Se infatti il tono del film è quello di una favola contemporanea, fatta di atmosfere agresti e sottilmente magiche, la malinconia etera dei 15 pezzi dello score la centra perfettamente, per l’uso di melodie mozzafiato e orchestrazioni perfette.

Aperta dall’onirismo in crescendo di Why Not, la soundtrack percorre il film come un fiume carsico incessante, capace di passare dal romanticismo un po’ funebre di Aevin Endar al travolgente arrangiamento bandistico di Boy Lilikoi, dalla leggerezza commossa della title track all’emotività incontenibile di Hoppipolla (unico brano a firma Sigur Ros), per arrivare a Gathering Stories, inedito e singolo del disco, firmato da Jònsi col regista Crowe (e un po’ troppo in odore degli ultimi Coldplay).
Come sempre in un film di Crowe abbondano anche le canzoni altrui, che compariranno in un secondo disco: da Don’t Be Shy di Cat Stevens a Buckets of Rain di Bob Dylan, da Hunger Strike dei Temple of the Dog a Cinnamon Girl di Neil Young, fino alla delicatissima Holocene dei Bon Iver di Justin Vernon, una sorta di fratello americano di Jònsi. Segno che la produzione musicale è un’arte con una sua coerenza, non meno importante in un film del suo racconto o della regia. E Crowe lo sa fin troppo bene.