Arrivano i nostri

16/04/09 - “Nessuno può dirsi senza colpa”, così si è espresso Giorgio Napolitano in visita a...

Arrivano i nostri

(Rubrica a cura di Alessandro Aniballi)

arrivano-i-nostri-interno.jpg16/04/09 – “Nessuno può dirsi senza colpa”, così si è espresso Giorgio Napolitano in visita a L`Aquila dopo il recente terremoto che ha devastato la città . Ci è parso un importante richiamo al senso di responsabilità  che è stato raccolto ad esempio da Michele Santoro con la sua ultima puntata di AnnoZero, in cui ha “osato” indagare sulle molteplici concause che hanno fatto sì che l`ennesimo terremoto in Italia abbia finito per provocare l`ennesima strage. Eppure la nostra classe politica, che non ha commentato le parole del Presidente della Repubblica, allo stesso tempo ha reagito istericamente di fronte alla trasmissione condotta dal giornalista salernitano, minacciando una riedizione dell` “editto bulgaro”. Cosa c`entra tutto ciò con la nostra rubrica? C`entra perchè questo episodio vale quale ulteriore dimostrazione dell`enorme potere del mezzo televisivo. Su vari giornali, La repubblica e Il manifesto ad esempio, non sono mancate le critiche e le accuse sia verso il passato (e il presente) di “malacostruzione”, sia verso azzardate ipotesi di ricostruzione (le fantomatiche “new town”), eppure nessuno ha parlato finchè parte di quel materiale non è finito su una rete televisiva nazionale. La TV è prigioniera di un tremendo “pensiero unico” che pare ormai impossibile anche solo scalfire leggermente.

Vedendo nei giorni scorsi “Che – L`argentino”, l`ultimo film di Steven Soderbergh, ci ha dato da pensare quel che dice Del Toro-Che Guevara ai suoi uomini: “finchè non saprete nè leggere nè scrivere, non avrete gli strumenti per capire di essere sfruttati e ingannati”. Oggi, a distanza di pochi decenni, per poter riuscire a pensare non basta più avere una cultura di base: è ormai diventato indispensabile saper leggere l`immagine. àˆ per questa via che passa tutto. Ed ecco che in una situazione come la nostra, dove il governo dell`immagine è in mano a pochissimi uomini (per non dire a uno), sarebbe doveroso, se non vitale, avere un cinema capace di riflettere il nostro reale, di leggerlo e di essere anche didascalico – perchè no – come lo era un tempo il cinema rosselliniano. Così ad alcuni registi italiani è stato chiesto di raccontare il terremoto abruzzese. àˆ successo in questi giorni sul sito de La repubblica, dove Calopresti, Michele Placido, Ozpetek, Sorrentino e Francesca Comencini, separatemene hanno provato a esporre in pochi minuti (quattro circa) il loro punto di vista. L`operazione in sè ci ha lasciato quantomeno perplessi: perchè chiedere a dei registi un contributo cronachistico che avrebbe potuto essere svolto benissimo da un qualunque giornalista? Come insegnava Antonioni il mestiere della regia richiede dei tempi lunghi, un`attenta osservazione, uno studio rigoroso, eccetera…non si può prendere la macchina da presa (o qualsiasi altro mezzo audiovisivo) e cominciare a girare. Questo lo diceva in base alla sua esperienza e – a dire il vero – parlava solo per sè; eppure a noi sembra che debba valere quasi da regola generale, soprattutto in un momento storico in cui l`immagine è stata del tutto de-formalizzata, forse definitivamente privata del pensiero della messa in scena.

Ma lasciando da parte le nostre remore da puristi, ci sembra quantomeno doveroso fare una piccola analisi dei cinque corti in questione. Il più interessante probabilmente è “Le donne di San Gregorio” di Francesca Comencini, in cui si sceglie un punto di vista preciso (le donne, per l`appunto) e lo si dispiega per quel che è possibile. Ne vengono fuori dei brevissimi ritratti fatti di dignità  e di attaccamento alla terra. Sia Calopresti che Placido, invece, ci pare si siano fatti prendere la mano dall`emergenza, registrando il dolore e la distruzione, praticamente senza filtro. Ozpetek ha scelto la via più rischiosa e decisamente più tragica, lasciando il campo a una registrazione canora di una ragazza morta nel terremoto, inframezzata da immagini di case distrutte. Una scelta sulla quale sinceramente non riusciamo a dare un giudizio, impossibilitati a discernere il dramma reale da un qualsiasi spirito critico. Sorrentino, infine, ha mediato attraverso l`immagine, provando – forse l`unico – a ragionare in termini cinematografici, sia nella costruzione del quadro che nel modo in cui ha montato la voce di un uomo che elenca i nomi di chi non ha usufruito dell`assegnazione delle tende. Un evento “dietro le quinte” che forse non è stato riferito da nessun altro, ma in cui manca una conclusione perchè il corto non registra, se non a tratti, la reazione di chi viene incluso nell`elenco (e soprattutto non spiega perchè siano state scelte quelle persone piuttosto che altre). Detto questo non possiamo che chiudere dicendo di sentirci a disagio per la disanima appena fatta, perchè sempre di fronte a un dramma riteniamo che sia necessario un momento di riflessione. Perciò vogliamo sperare che, come tutta la società  civile ora chiede a gran voce delle norme antisismiche, anche il cinema italiano sappia fare la sua parte, riuscendo magari a raccontare, nei termini dell`universale piuttosto che del contingente, l`eterno dramma del nostro vivere nello Stivale, così come un tempo ormai troppo lontano fece Francesco Rosi con “Le mani sulla cittࠔ (1963).